Concessioni demaniali, Confindustria Nautica ricorre Cassazione contro Plenaria CdS

 

Confindustria Nautica, con Assomarinas e Assonat Confcommercio ha depositato il ricorso presso le Sezioni unite della Corte di Cassazione contro la pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che aveva fissato termini di decadenza delle concessioni marittime e regole per la loro assegnazione.

“L’Adunanza Plenaria del CdS – si legge nel ricorso – si è attribuita un potere legislativo per disciplinare direttamente la materia dell’affidamento delle concessioni come se fosse priva di ogni disciplina nazionale e le scelte e le valutazioni espresse dal Parlamento non fossero mai esistite e potessero essere sostituite da quelle effettuate da una sentenza”.
Il CdS aveva disposto la cessazione al 31 dicembre 2023 delle concessioni demaniali marittime il regime di proroga, specificando anche che “eventuali proroghe del termine debbano considerarsi in contrasto con il diritto dell’Unione e quindi immediatamente non applicabili a opera del giudice e di qualsiasi organo amministrativo”. In questo modo il Parlamento “è stato anche privato del tempo utile a una riforma del settore”. Per Assonautica, “l’invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore si è verificata in relazione all’applicazione di una norma creata a opera del giudice che ha esercitato un’attività di produzione normativa che non gli compete, avendo nel contempo stabilito il termine per l’indizione delle gare, e l’elencazione dei principi che dovranno ispirarne lo svolgimento”. Queste ‘norme’ sono state estese anche ai porti turistici nonostante siano esclusi dalla direttiva Ue. Anche la Corte di Giustizia ha specificato che “taluni accordi aventi per oggetto il diritto di un operatore economico di gestire beni o risorse del demanio pubblico, in regime di diritto privato o pubblico, quali terreni mediante i quali lo Stato fissa solo condizioni generali d’uso di beni o risorse senza acquisire lavori o servizi specifici, non dovrebbero configurarsi come ‘concessione di servizi'”. (ANSA)

Sib e Fiba contrari all’aumento dei canoni, venga rimodulata aliquota iva al pari altre attività turistiche

 

Il ministero delle Infrastrutture ha comunicato ieri agli Enti competenti la variazione dell’indice ISTAT dei canoni demaniali per l’anno 2023. Si tratta di un aumento del 25, 15 % con il canone minimo di euro 3.377,50 (tremilatrecentosettantasette/50). È un provvedimento ingiustificato e ingiusto.

Ingiustificato perché è più del doppio dell’indice ISTAT registrato nel 2022 (12,6) e più del triplo dell’inflazione (8,0%).

Ed è ingiusto perché esaspera un meccanismo di determinazione dei canoni sbagliato in quanto non parametrato alla effettiva redditività dell’area oggetto di concessione e disincentivante rispetto agli investimenti per il potenziamento dei servizi balneari. Già adesso, infatti, c’è chi paga tanto e chi relativamente poco in riferimento a questi doverosi criteri.

Senza parlare delle ormai note ingiustizie sui costi economici dei concessionari balneari con l’aliquota IVA al 22 % a differenza di tutte le aziende turistiche per le quali è al 10 %, la TARSU sull’intera area anche laddove e quando è improduttiva di rifiuti o l’IMU ancorché considerati affittuari. Chiederemo la revoca del provvedimento in attesa di un riordino dei criteri di determinazione dei canoni che li renda giusti ed economicamente sopportabili.