Sentenza della Corte (Nona Sezione) del 16 marzo 2023. Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ascoli Piceno contro OL. Rinvio pregiudiziale – Articoli 49 e 56 TFUE –

Abbiamo appreso dal sito www.youfoggia.com della sentenza del 16.3.2023 (causa OL C-517/20)

Rprendiamo un passaggio chiarificatore dall’articolo sopra menzionato di www.youfoggia.com che ha intervistato l’avv.Vincenzo De Michele


La Corte di giustizia europea, in un collegio a tre inusualmente presieduto dal giudice italiano prof.ssa Lucia Serena Rossi, con sentenza del 16.3.2023 (causa OL C-517/20) ha dato indirettamente ragione ai concessionari demaniali marittimi e al Governo e al Parlamento sulla proroga a tempo indeterminato delle concessioni, inserita in sede di conversione nel milleproroghe e ribadita nella stessa legge di conversione con il divieto di nuove gare ai Comuni concedenti.
Mi sono occupato della questione in un saggio pubblicato sulla rivista telematica di diritto europeo europeanrights.eu nel settembre 2022, criticando la sentenza Promoimpresa della Corte di giustizia del luglio 2016 per le sue contraddizioni e censurando duramente le due sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che hanno usurpato il potere del legislatore e dell’Esecutivo in subiecta materia.
La Corte Ue, molto sensibile alle critiche e evidentemente colpita dalla strumentalizzazione delle vicenda nel dibattito nazionale tutto orientato contro i balneari e il Governo Meloni e il Parlamento che hanno cercato di tutelarli, ha così puntualizzato.
La Corte Ue nella sentenza del 16.3.2023 ha affrontato la diversa problematica delle concessioni per l’attività di raccolta delle scommesse, che sono chiaramente concessioni di servizi ed entrano nel campo di applicazione della direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione pubblica delle concessioni.
La Corte Ue, con un passaggio incidentale che non aveva ragione di essere nel contesto argomentativo della decisione né era stato segnalato come rilevante dal giudice nazionale del rinvio (Tribunale di Ascoli Piceno), ha richiamato la sentenza Promoimpresa sulle concessioni balneari al punto 29, evidenziando che la Corte europea già in quella contraddittoria decisione aveva escluso le concessioni balneari, come concessioni di beni, sia dal campo di applicazione della Bolkestein (direttiva servizi 2006/123) sia dalla specifica direttiva sull’aggiudicazione delle concessioni (direttiva 2014/23)

SENTENZA DELLA CORTE (Nona Sezione)

16 marzo 2023 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Articoli 49 e 56 TFUE – Giochi d’azzardo – Concessioni per l’attività di raccolta di scommesse – Proroga delle concessioni già attribuite – Regolarizzazione dei centri di trasmissione dati esercenti questa attività in assenza di concessione e di licenza di polizia – Proroga dei diritti sorti da tale regolarizzazione – Termine ristretto»

Nella causa C‑517/20,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale di Ascoli Piceno (Italia), con decisione del 29 settembre 2020, pervenuta in cancelleria il 13 ottobre 2020, nel procedimento penale a carico di

OL,

in presenza di:

Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ascoli Piceno,

LA CORTE (Nona Sezione),

composta da L.S. Rossi, presidente di sezione, S. Rodin (relatore) e O. Spineanu‑Matei, giudici,

avvocato generale: M. Campos Sánchez‑Bordona

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per OL, da V. Palamenghi, avvocato;

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da P.G. Marrone, avvocato dello Stato;

–        per il governo belga, da M. Jacobs e L. Van den Broeck, in qualità di agenti, assistite da R. Verbeke e P. Vlaemminck, advocaten;

–        per la Commissione europea, da L. Armati, G. Gattinara e M. Mataija, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 49, 56 e 106 TFUE.

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale instaurato nei confronti di OL, proprietario dell’impresa OL, a motivo di una violazione della normativa italiana in materia di raccolta di scommesse, per aver esercitato un’attività organizzata di raccolta di scommesse per conto di un allibratore stabilito in Austria senza essere titolare di una concessione e di una licenza previste da detta normativa.

 Contesto giuridico

 Diritto dellUnione

3        Il considerando 15 della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (GU 2014, L 94, pag. 1), come modificata dal regolamento delegato (UE) 2015/2172 della Commissione, del 24 novembre 2015 (GU 2015, L 307, pag. 9) (in prosieguo: la «direttiva 2014/23»), enuncia quanto segue:

«Inoltre, taluni accordi aventi per oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse del demanio pubblico, in regime di diritto privato o pubblico, quali terreni o qualsiasi proprietà pubblica, in particolare nel settore dei porti marittimi o interni o degli aeroporti, mediante i quali lo Stato oppure l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore fissa unicamente le condizioni generali d’uso senza acquisire lavori o servizi specifici, non dovrebbero configurarsi come concessioni ai sensi della presente direttiva. Ciò vale di norma per i contratti di locazione di beni o terreni di natura pubblica che generalmente contengono i termini che regolano la presa di possesso da parte del conduttore, la destinazione d’uso del bene immobile, gli obblighi del locatore e del conduttore per quanto riguarda la manutenzione del bene immobile, la durata della locazione e la restituzione del possesso del bene immobile al locatore, il canone e le spese accessorie a carico del conduttore».

4        L’articolo 5, punto 1, lettera b), di tale direttiva dispone quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva si applicano le definizioni seguenti:

1)      “concessioni”: le concessioni di lavori o di servizi di cui alle lettere a) e b):

(…)

b)      “concessione di servizi” si intende un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera a) ad uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo».

5        L’articolo 8, paragrafo 1, di detta direttiva prevede quanto segue:

«La presente direttiva si applica alle concessioni il cui valore sia pari o superiore a 5 225 000 EUR».

 Diritto italiano

6        L’articolo 88 del regio decreto del 18 giugno 1931, n. 773 – Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (supplemento ordinario alla GU n. 146, del 26 giugno 1931), nella versione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale (in prosieguo: il «TULPS»), prevede la concessione di una licenza di polizia. Risulta dalla decisione di rinvio che il rilascio di tale licenza è sottoposto a due condizioni. Il richiedente, da un lato, deve rispettare dei requisiti di probità previsti da alcune disposizioni del TULPS e, dall’altro, deve essere collegato ad un allibratore titolare di una concessione statale.

7        L’articolo 4 della legge del 13 dicembre 1989, n. 401 – Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive (GURI n. 294, del 18 dicembre 1989), nella versione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale (in prosieguo: la «legge n. 401/1989»), prevede delle sanzioni penali per la partecipazione abusiva all’organizzazione di giochi d’azzardo. In particolare, l’articolo 4, comma 4 bis, della legge n. 401/1989 dispone che «[l]e sanzioni di cui al presente articolo sono applicate a chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’articolo 88 del [TULPS], svolga in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accettare o raccogliere o comunque favorire l’accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o all’estero».

8        L’articolo 1, comma 643, della legge del 23 dicembre 2014, n. 190 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015) (supplemento ordinario alla GURI n. 300, del 29 dicembre 2014), nella versione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale (in prosieguo: la «legge n. 190/2014»), e l’articolo 1, comma 926, della legge del 28 dicembre 2015, n. 208 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) (supplemento ordinario alla GURI n. 302, del 30 dicembre 2015), nella versione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale (in prosieguo: la «legge n. 208/2015»), hanno introdotto una procedura di regolarizzazione per i centri di trasmissione dati (in prosieguo: i «CTD») che già esercitavano, alla data del 31 ottobre 2014, attività di raccolta di scommesse a favore di allibratori esteri in assenza di una concessione e di una licenza di polizia, ai sensi dell’articolo 88 del TULPS.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

9        La Ulisse GmbH è una società, costituita in Austria nel 2016, che opera nel settore dei giochi d’azzardo ed esercita la propria attività in Italia attraverso il marchio Newaleabet. OL è legato contrattualmente a tale società.

10      Con lettere del 30 novembre 2016 e del 6 febbraio 2017 indirizzate all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (ADM) (Italia), la Ulisse ha espresso la propria intenzione di stabilirsi nel territorio italiano e ha chiesto di essere ammessa al mercato nazionale.

11      L’ADM ha respinto tale domanda a motivo del fatto che soltanto le imprese che avevano già ottenuto una concessione a seguito di gare ad evidenza pubblica o che vantavano diritti in virtù delle leggi n. 190/2014 e n. 208/2015 avevano la possibilità di stabilirsi nel territorio italiano.

12      Secondo l’ADM, tali concessioni o tali diritti erano ancora validi in virtù della proroga degli stessi introdotta mediante una circolare del 9 giugno 2016 ed altri atti successivi, ma tale proroga non era estensibile ai terzi.

13      Il 21 settembre 2019, è stato avviato dinanzi al Tribunale di Ascoli Piceno (Italia) un procedimento penale a carico di OL, proprietario dell’impresa OL. A costui veniva contestato il reato previsto dall’articolo 4, comma 4 bis, della legge n. 401/1989, a motivo del fatto che egli esercitava un’attività consistente nell’accettare e raccogliere scommesse per poi trasmetterle ad un allibratore estero, la Ulisse, senza essere titolare della concessione e della licenza previste dalla normativa italiana.

14      Il giudice del rinvio ritiene che la proroga a tempo indeterminato introdotta dalla circolare del 9 giugno 2006 per le concessioni esistenti impedisca, di fatto, l’accesso di nuovi operatori al mercato in questione.

15      Inoltre, detto giudice osserva che il ritardo nella pubblicazione del nuovo bando di gara per l’attribuzione di concessioni in materia di raccolta di scommesse, il quale avrebbe dovuto essere pubblicato, ai sensi della normativa italiana, sin dal 1° maggio 2016, sembra nuocere agli operatori economici del settore interessato e, segnatamente, a quelli che si sono organizzati in vista dell’emissione del nuovo bando concessorio.

16      Detto giudice ritiene segnatamente che il termine breve stabilito per la regolarizzazione dei CTD esercenti la loro attività in assenza di una licenza di polizia, prevista per l’anno 2016, e la proroga a tempo indeterminato di concessioni per l’esercizio di tale attività in virtù della circolare del 9 giugno 2016, menzionata al punto 14 della presente sentenza, potrebbero non essere conformi al diritto dell’Unione.

17      In particolare, il Tribunale di Ascoli Piceno ritiene che la controversia di cui al procedimento principale sollevi questioni di interpretazione del diritto dell’Unione in merito alla compatibilità con gli articoli 49, 56 e 106 TFUE della proroga generalizzata e a tempo indeterminato delle concessioni nel settore dei giochi d’azzardo.

18      Alla luce di tali circostanze, il Tribunale di Ascoli Piceno ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se i principi della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, di cui agli articoli 49, 56 e 106 TFUE, nonché il canone di ragionevolezza in essi racchiuso, ostino ad una normativa nazionale che, per effetto di una disposizione o atto nazionale avente valore di legge, determina la proroga delle vecchie concessioni e degli altri diritti di raccolta [di scommesse] rilasciati con bandi di gara o con procedura di sanatoria (senza gara) la cui scadenza naturale era già stata fissata per il giugno del 2016.

2)      Se gli articoli 49, 56 e 106 TFUE ostino ad una normativa nazionale che tramite la tecnica dell’affidamento diretto, realizzato per mezzo di un atto di proroga, non preceduto dal previo espletamento di un confronto concorrenziale, realizzi un’indebita chiusura del mercato nazionale.

3)      Se gli articoli 49, 56 e 106 TFUE ostino ad una normativa nazionale che, in assenza di un contestuale espletamento di una nuova procedura di gara, autorizzi [la realizzazione di operazioni sul mercato nazionale sulla base di] tutte le concessioni già dichiarate illegittime dalle successive pronunce della Corte di giustizia (…), impedendo l’accesso di nuovi operatori stranieri».

 Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali

19      I governi italiano e belga fanno valere che le questioni sollevate dal giudice del rinvio sono irricevibili.

20      Il governo italiano ritiene che la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere ad esse in maniera utile. Da un lato, la decisione di rinvio non conterrebbe i dati fattuali nella loro interezza, in quanto in essa è indicato che la proroga delle concessioni e dei diritti istituiti dalla legge n. 190/2014 nel settore dei giochi d’azzardo derivava da un atto amministrativo, ossia la circolare del 9 giugno 2016, e non da una disposizione legislativa, le ragioni della cui adozione non sarebbero state d’altronde neppure prese in esame dal giudice del rinvio. Dall’altro lato, il giudice del rinvio farebbe riferimento alla direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE (GU 2014, L 94, pag. 65), che non sarebbe applicabile ai fatti di cui al procedimento principale.

21      Per quanto riguarda in particolare la terza questione, il governo italiano fa osservare che le sentenze della Corte citate nella decisione di rinvio non affermano l’illegittimità del sistema di concessioni in vigore in Italia.

22      Il governo belga sottolinea che la controversia di cui al procedimento principale non riguarda l’applicazione degli articoli 49, 56 e 106 TFUE, bensì quella della direttiva 2014/23, dato che quest’ultima armonizza in maniera esaustiva, secondo la giurisprudenza della Corte, la materia delle concessioni.

23      Anzitutto, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, non spetta alla Corte, nell’ambito del sistema di cooperazione giudiziaria istituito dall’articolo 267 TFUE, verificare o rimettere in discussione l’esattezza dell’interpretazione del diritto nazionale effettuata dal giudice nazionale, dato che tale interpretazione rientra nella competenza esclusiva di quest’ultimo. Quando è adita in via pregiudiziale da un giudice nazionale, la Corte deve pertanto attenersi all’interpretazione del diritto nazionale che le è stata esposta da tale giudice [sentenza del 3 marzo 2022, Subdelegación del Gobierno en Pontevedra (Ammenda in caso di soggiorno irregolare), C‑409/20, EU:C:2022:148, punto 37 e la giurisprudenza ivi citata].

24      Poiché non spetta dunque alla Corte verificare se la proroga delle concessioni nel settore dei giochi d’azzardo in Italia e dei diritti concessi in virtù delle leggi n. 190/2014 e n. 208/2015 derivasse da un atto amministrativo, vale a dire la circolare del 9 giugno 2016, oppure da una disposizione legislativa, un’eventuale inesattezza della decisione di rinvio al riguardo non è idonea a rendere irricevibili le questioni sollevate.

25      Inoltre, le questioni sollevate, il cui testo non menziona la direttiva 2014/24, non possono essere irricevibili per il solo fatto che tale direttiva viene menzionata nella domanda di pronuncia pregiudiziale.

26      Infine, il fatto che il giudice del rinvio non dimostri che la direttiva 2014/23 non si applica ai fatti oggetto della controversia nel procedimento principale non è suscettibile di rimettere in discussione la ricevibilità delle questioni sollevate, che vertono, segnatamente, sull’interpretazione degli articoli 49 e 56 TFUE.

27      È certamente vero che, da un lato, qualsiasi misura nazionale in un settore che è stato oggetto di un’armonizzazione completa a livello dell’Unione europea deve essere valutata alla luce non delle disposizioni del diritto primario, bensì di quelle di tale misura di armonizzazione, e che, dall’altro lato, la direttiva 2014/23 ha proceduto ad un’armonizzazione esaustiva delle ipotesi nelle quali le concessioni possono essere modificate senza che sia necessaria a tal fine l’organizzazione di una nuova procedura di attribuzione di concessione conforme alle norme stabilite da detta direttiva, nonché delle ipotesi nelle quali una siffatta procedura di attribuzione è necessaria in caso di modifica delle condizioni della concessione (v., in tal senso, sentenza del 2 settembre 2021, Sisal e a., C‑721/19 e C‑722/19, EU:C:2021:672, punti 31 e 32 nonché la giurisprudenza ivi citata).

28      Tuttavia, affinché una concessione rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/23, è indispensabile, segnatamente, che essa sia sussumibile nella nozione di «concessione di lavori» o in quella di «concessione di servizi», ai sensi dell’articolo 5, punto 1, di tale direttiva, e che il valore di tale concessione ecceda la soglia prevista dall’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva in parola.

29      Ai sensi dell’articolo 5, punto 1, lettera b), della direttiva 2014/23, costituisce una concessione di servizi un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera a) del medesimo articolo 5, punto 1, ad uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo. Per contro, taluni accordi aventi ad oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse pubblici, in regime di diritto privato o pubblico, come dei terreni, mediante i quali lo Stato fissa unicamente le condizioni generali d’uso dei beni o delle risorse in questione senza acquisire lavori o servizi specifici, non dovrebbero – come risulta dal considerando 15 della citata direttiva – essere qualificati come «concessioni di servizi», ai sensi della direttiva 2014/23 (v., in tal senso, sentenza del 14 luglio 2016, Promoimpresa e a., C‑458/14 e C‑67/15, EU:C:2016:558, punto 48).

30      Orbene, la Corte non dispone di elementi da cui risulti, da un lato, che le concessioni e i diritti prorogati accordati in virtù delle leggi n. 190/2014 e n. 208/2015 nel settore dei giochi d’azzardo in Italia costituiscono concessioni di servizi ai sensi dell’articolo 5, punto 1, lettera b), della direttiva 2014/23, e non accordi aventi ad oggetto il diritto di un operatore economico di esercitare un’attività in tale settore, mediante i quali la Repubblica italiana fissa unicamente le condizioni generali di esercizio di tale diritto, senza acquisizione di servizi specifici, e, dall’altro lato, che il valore di tali contratti eccede la soglia prevista dall’articolo 8, paragrafo 1 di tale direttiva.

31      Pertanto, non si può escludere che la direttiva 2014/23 non si applichi a tali concessioni e a tali diritti.

32      Inoltre, le autorità pubbliche, ove intendano attribuire una concessione che non rientra nell’ambito di applicazione delle direttive relative alle varie categorie di contratti pubblici, sono tenute a rispettare le norme fondamentali del Trattato FUE in generale e il principio di non discriminazione in particolare (sentenza del 14 luglio 2016, Promoimpresa e a., C‑458/14 e C‑67/15, EU:C:2016:558, punto 64 nonché la giurisprudenza ivi citata).

33      Peraltro, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta unicamente al giudice nazionale, che è investito della controversia e che deve assumere la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolarità della controversia di cui al procedimento principale, tanto la necessità di una decisione pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza quanto la rilevanza delle questioni che esso sottopone alla Corte. Di conseguenza, qualora le questioni sollevate vertano sull’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte è, in linea di principio, tenuta a statuire [sentenza del 24 febbraio 2022, TGSS (Disoccupazione dei collaboratori domestici), C‑389/20, EU:C:2022:120, punto 23 e la giurisprudenza ivi citata].

34      Ne consegue che le questioni vertenti sul diritto dell’Unione beneficiano di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia nel procedimento principale, quando il problema sia di natura ipotetica, oppure quando la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono sottoposte [sentenza del 24 febbraio 2022, TGSS (Disoccupazione dei collaboratori domestici), C‑389/20, EU:C:2022:120, punto 24 e la giurisprudenza ivi citata].

35      Pertanto, la presunzione di rilevanza delle questioni sollevate dal giudice del rinvio, che riguardano segnatamente l’interpretazione degli articoli 49 e 56 TFUE, non può essere confutata, né la ricevibilità di dette questioni può essere rimessa in discussione, per il solo fatto che la domanda di pronuncia pregiudiziale non contiene gli elementi da cui si possa dedurre che la direttiva 2014/23 non è applicabile ai fatti in discussione nel procedimento principale. Esigere dai giudici nazionali che essi, per poter sollevare questioni relative al diritto primario, dimostrino che la controversia di cui sono investiti non rientra nell’ambito del diritto derivato adottato ai fini dell’armonizzazione delle normative nazionali in un determinato settore, può nuocere al sistema di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte.

36      Ciò premesso, poiché il giudice del rinvio non indica le ragioni per le quali la prima e la seconda questione vertono sull’articolo 106 TFUE, occorre rispondere a tali questioni soltanto nella misura in cui esse riguardano gli articoli 49 e 56 TFUE.

37      Inoltre, nella misura in cui la terza questione presuppone che le concessioni attribuite in Italia nel settore dei giochi d’azzardo siano già state dichiarate illegittime dalle varie sentenze della Corte, tale questione si basa su una premessa erronea.

38      Infatti, le sentenze della Corte menzionate nella domanda di pronuncia pregiudiziale riguardanti le concessioni – che risultano tuttora in vigore – attribuite nell’ambito di gare nel 2006 e nel 2012, ossia le sentenze del 16 febbraio 2012, Costa e Cifone (C‑72/10 e C‑77/10, EU:C:2012:80), nonché del 12 settembre 2013, Biasci e a. (C‑660/11 e C‑8/12, EU:C:2013:550), costituiscono sentenze emesse nell’ambito di procedimenti instaurati a norma dell’articolo 267 TFUE.

39      Orbene, non spetta alla Corte pronunciarsi, nell’ambito di un procedimento siffatto, sulla compatibilità di norme di diritto interno con le disposizioni del diritto dell’Unione (sentenza del 6 marzo 2007, Placanica e a., C‑338/04, C‑359/04 e C‑360/04, EU:C:2007:133, punto 36), ciò che d’altronde risulta dai dispositivi stessi delle sentenze in questione.

40      Risulta dall’insieme delle considerazioni che precedono che la prima e la seconda questione sono ricevibili nella parte in cui vertono sull’interpretazione degli articoli 49 e 56 TFUE, e che la terza questione è irricevibile.

 Nel merito

41      Con la prima e con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 49 e 56 TFUE ostino ad una proroga delle concessioni nel settore dei giochi d’azzardo, nonché dei diritti derivanti dalla regolarizzazione della situazione dei CTD che già esercitavano, ad una certa data, attività di raccolta di scommesse a favore di allibratori esteri non titolari di una concessione e di una licenza di polizia.

42      Occorre ricordare che, per consolidata giurisprudenza, devono considerarsi quali restrizioni alla libertà di stabilimento e/o alla libera prestazione dei servizi tutte le misure che vietino, ostacolino o scoraggino l’esercizio delle libertà garantite dagli articoli 49 e 56 TFUE (sentenza del 22 settembre 2022, Admiral Gaming Network e a., da C‑475/20 a C‑482/20, EU:C:2022:714, punto 33).

43      Da un lato, qualora una società, stabilita in uno Stato membro, persegua l’attività di raccolta di scommesse per il tramite di agenzie stabilite in un altro Stato membro, le restrizioni imposte alle attività di queste agenzie costituiscono ostacoli alla libertà di stabilimento sancita dall’articolo 49 TFUE (v., in tal senso, sentenze del 6 novembre 2003, Gambelli e a., C‑243/01, EU:C:2003:597, punto 46, nonché del 22 settembre 2022, Admiral Gaming Network e a., da C‑475/20 a C‑482/20, EU:C:2022:714, punto 37).

44      Dall’altro lato, l’articolo 56 TFUE riguarda i servizi che un prestatore, stabilito in uno Stato membro, offre senza spostarsi a destinatari stabiliti in un altro Stato membro, sicché qualsiasi restrizione a tali attività costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi da parte di tale prestatore (v., in tal senso, sentenze del 6 novembre 2003, Gambelli e a., C‑243/01, EU:C:2003:597, punto 54, nonché del 13 giugno 2017, The Gibraltar Betting and Gaming Association, C‑591/15, EU:C:2017:449, punto 32).

45      In particolare, una proroga delle concessioni nel settore dei giochi d’azzardo impedisce l’apertura di tali concessioni alla concorrenza e la verifica dell’imparzialità delle procedure di aggiudicazione in questione, integrando così una disparità di trattamento, a discapito delle imprese situate in un altro Stato membro potenzialmente interessate a tali concessioni, che è vietata, in linea di principio, dagli articoli 49 e 56 TFUE e che, segnatamente, viola il principio generale di trasparenza nonché l’obbligo di garantire un livello di pubblicità adeguato (v., per analogia, sentenze del 13 settembre 2007, Commissione/Italia, C‑260/04, EU:C:2007:508, punto 25, nonché del 14 luglio 2016, Promoimpresa e a., C‑458/14 e C‑67/15, EU:C:2016:558, punto 70).

46      Nel caso di specie, il procedimento penale promosso dinanzi al giudice del rinvio contro OL, proprietario dell’impresa OL, è stato instaurato per il fatto che costui esercitava un’attività consistente nell’accettare e nel raccogliere scommesse per poi trasmetterle alla Ulisse, società esercente un’attività di allibratore stabilita in Austria, laddove nessuna di queste due imprese disponeva, per le proprie attività, di una concessione o di un’autorizzazione di polizia, nel settore dei giochi d’azzardo in Italia, né del diritto riconosciuto dalle leggi n. 190/2014 e n. 208/2015, le quali hanno permesso di regolarizzare la situazione dei CTD che già esercitavano, ad una certa data, attività di raccolta di scommesse a favore di allibratori esteri. La Ulisse aveva in precedenza manifestato la propria intenzione di stabilirsi nel territorio italiano chiedendo all’ADM di essere ammessa sul mercato italiano. Tuttavia, quest’ultima ha respinto la sua domanda per il fatto che soltanto gli operatori economici che avevano già ottenuto una concessione o che disponevano del diritto conferito dalle leggi n. 190/2014 e n. 208/2015 beneficiavano della possibilità di stabilirsi nel territorio italiano.

47      Risulta dalla decisione di rinvio che tali concessioni e tali diritti erano ancora validi tenuto conto della loro proroga, non estensibile ai terzi, malgrado la normativa italiana secondo cui una nuova gara per l’attribuzione delle concessioni avrebbe dovuto essere indetta dal 1° maggio 2016.

48      Tale proroga delle concessioni nel settore dei giochi d’azzardo e dei diritti risultanti dalla regolarizzazione della situazione dei CTD e degli allibratori, la quale impedisca a questi ultimi, se stabiliti in un altro Stato membro, di offrire i propri servizi nello Stato membro in questione, anche per il tramite dei CTD, costituisce, secondo la giurisprudenza ricordata ai punti da 42 a 45 della presente sentenza, una restrizione delle libertà fondamentali sancite dagli articoli 49 e 56 TFUE.

49      Tuttavia, detta proroga può essere ammessa sulla base delle deroghe espressamente previste dagli articoli 51 e 52 TFUE, oppure può essere giustificata, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi di interesse generale (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2007, Commissione/Italia, C‑260/04, EU:C:2007:508, punto 26).

50      La Repubblica italiana fa valere, in tale contesto, che la proroga delle concessioni e dei diritti in questione era necessaria per evitare l’interruzione delle scommesse legali e per garantire la tenuta economica di un comparto che altrimenti sarebbe rimasto del tutto privo di regolamentazione. Pertanto, la Repubblica italiana sarebbe stata autorizzata a continuare ad esercitare un controllo costante e rigoroso sugli operatori di tale settore al fine di garantire un livello particolarmente elevato di protezione dei consumatori.

51      In proposito occorre ricordare che gli obiettivi della protezione dei consumatori, della prevenzione delle frodi e dell’incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco, nonché della prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale, sono stati invero riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte come rientranti tra i motivi imperativi di interesse generale suscettibili di giustificare restrizioni alle libertà fondamentali sancite dagli articoli 49 e 56 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2007, Commissione/Italia, C‑260/04, EU:C:2007:508, punto 27 e la giurisprudenza ivi citata).

52      Se gli Stati membri sono liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d’azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di protezione ricercato, le restrizioni da essi imposte devono nondimeno soddisfare le condizioni risultanti dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda la loro proporzionalità (sentenza del 13 settembre 2007, Commissione/Italia, C‑260/04, EU:C:2007:508, punto 28 e la giurisprudenza ivi citata).

53      Di conseguenza, spetterà al giudice del rinvio valutare se la proroga di concessioni nel settore dei giochi d’azzardo e dei diritti risultanti dalle leggi n. 190/2014 e n. 208/2015 sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla Repubblica italiana in tale settore e non vada oltre quanto è necessario per raggiungerlo (v., in tal senso, sentenze del 13 settembre 2007, Commissione/Italia, C‑260/04, EU:C:2007:508, punto 29, nonché del 19 dicembre 2018, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C‑375/17, EU:C:2018:1026, punto 46). In ogni caso, tale proroga deve essere applicata in maniera non discriminatoria (v., per analogia, sentenza del 13 settembre 2007, Commissione/Italia, C‑260/04, EU:C:2007:508, punto 29).

54      Nel caso di specie, non risulta dal fascicolo a disposizione della Corte che la proroga delle concessioni nel settore dei giochi d’azzardo in Italia e dei diritti risultanti dalle leggi n. 190/2014 e n. 208/2015 non sia idonea a realizzare l’obiettivo di assicurare la continuità di un controllo, in Italia, sugli operatori del settore al fine di garantire la protezione dei consumatori.

55      Tuttavia, l’attribuzione di concessioni sulla base di un nuovo bando di gara, da un lato, costituirebbe una misura meno restrittiva per le libertà fondamentali sancite dagli articoli 49 e 56 TFUE rispetto alla proroga suddetta e, dall’altro, non pare tale da compromettere la realizzazione di detto obiettivo.

56      Risulta dall’insieme delle considerazioni che precedono che gli articoli 49 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una proroga delle concessioni nel settore dei giochi d’azzardo e dei diritti derivanti dalla regolarizzazione della situazione dei centri di trasmissione dati che già esercitavano, ad una certa data, attività di raccolta di scommesse a favore di allibratori esteri non titolari di una concessione e di una licenza di polizia, se e in quanto tale proroga, che può essere giustificata segnatamente da motivi imperativi di interesse generale come l’obiettivo di assicurare la continuità di un controllo sugli operatori di tale settore al fine di garantire la protezione dei consumatori, non sia idonea a garantire la realizzazione di tale obiettivo o vada oltre quanto è necessario per raggiungerlo.

 Sulle spese

57      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Nona Sezione) dichiara:

Gli articoli 49 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una proroga delle concessioni nel settore dei giochi d’azzardo e dei diritti derivanti dalla regolarizzazione della situazione dei centri di trasmissione dati che già esercitavano, ad una certa data, attività di raccolta di scommesse a favore di allibratori esteri non titolari di una concessione e di una licenza di polizia, se e in quanto tale proroga, che può essere giustificata segnatamente da motivi imperativi di interesse generale come l’obiettivo di assicurare la continuità di un controllo sugli operatori di tale settore al fine di garantire la protezione dei consumatori, non sia idonea a garantire la realizzazione di tale obiettivo o vada oltre quanto è necessario per raggiungerlo.

Sentenza “OL” della Corte di Giustizia : “Proroghe generalizzate contrarie diritto UE”

Di Nikolaus Suck

La sentenza della Corte di Giustizia del 16 marzo 2023 resa nella causa C – 517/20 ‘OL’ ha ad oggetto un tipico rinvio pregiudiziale interpretativo ai sensi dell’art. 267 TFUE, in cui il Giudice nazionale sottopone alla Corte dei quesiti relativi alla compatibilità o meno di una determinata disciplina nazionale con le norme ed i principi dell’ordinamento eurounitario.
Interviene nella materia della raccolta delle scommesse, in cui vengono in considerazione notorie e preminenti esigenze di ordine pubblico, sicurezza e legalità nonché di tutela elevata dei cittadini e consumatori in genere e delle fasce sociali più deboli e dei minori in particolare. In ragione di tali esigenze, la legge riserva l’attività di raccolta di scommesse allo Stato, il quale può affidarla in regime concessione a soggetti di accertata idoneità e probità selezionati (come è norma e regola per tutte le concessioni amministrative) con apposita gara pubblica (d.lgs. 14.4.1948, n. 496, artt. 1 e 2, e, per quanto di interesse specifico, r.d. 18.3.1931, n. 773, art. 88). Può parlarsi, in questo caso, di vere e proprie concessioni di
servizio pubblico con cui viene affidata a terzi un’attività economica riservata allo Stato (anche se, come si vedrà oltre, nel caso di specie tale qualificazione non è stata fatta e non è comunque risultata decisiva).

Al tempo dei fatti di causa le concessioni per la raccolta di scommesse allora in essere sarebbero dovute scadere il 30 giugno 2016 e si era in attesa del bando di gara per le nuove concessioni da aggiudicare, la cui pubblicazione sarebbe dovuta intervenire entro il 1° maggio 2016. Tuttavia, da un lato in vista di un riordino complessivo della disciplina dei giochi e delle scommesse (all’epoca previsto dalla legge 11.3.2014, n. 23) il legislatore italiano con le leggi di stabilità per il 2015 ed il 2016 (art 1, c. 643 l. 23.12.2014 n. 190 e art. 1 c. 926 l. 28.12.2015 n. 208) aveva introdotto un procedura di “regolarizzazione” provvisoria grazie a cui i c.d. centri di trasmissione dati privi di concessione alla data del 31 ottobre 2014 avrebbero potuto
continuare ad operare fino alla detta scadenza del 30 giugno 2016. E, da un altro lato, a fronte del ritardo nella pubblicazione del bando, non intervenuta entro il suddetto termine legislativo del 1° maggio 2016, in data 9 giugno 2016 l’Agenzia delle Dogane aveva adottato la invero curiosa circolare R.U. n. 54917 con cui, dato atto del ritardo e “al fine di garantire la continuità del servizio pubblico di raccolta dei giochi pubblici in ragione dei superiori interessi di ordine pubblico, erariali e di tutela occupazionale”, aveva ritenuto di consentire la prosecuzione dell’attività “fino alla pubblicazione del bando di gara” sia ai precedenti concessionari che ai soggetti provvisoriamente “regolarizzati” che si fossero impegnati formalmente alla partecipazione alla futura gara. Tale provvedimento ha, di fatto, introdotto una sorta di “proroga” in quel momento a tempo indeterminato del diritto a svolgere l’attività, non essendo nota la data in cui il bando di cui si era in attesa sarebbe stato pubblicato.

In tale contesto, un Giudice italiano nell’ambito di un procedimento penale avviato ben tre anni dopo nei confronti di un’impresa che raccoglieva scommesse per un allibratore austriaco senza una sottostante concessione o regolarizzazione ha rilevato che la suddetta “proroga”, in quel momento (e a tutt’oggi) ancora operativa, impediva l’accesso di nuovi operatori al mercato della raccolta delle scommesse. Pertanto, facendo riferimento direttamente ed esclusivamente agli articoli 49, 56 e 106 del TFUE sulla libertà di stabilimento e di prestazione di servizi e sull’applicazione delle regole di concorrenza alle imprese che esercitano diritti speciali, con tre quesiti ha chiesto alla Corte di stabilire se la descritta proroga delle vecchie concessioni e degli altri diritti di raccolta delle scommesse senza espletamento di un confronto concorrenziale fosse compatibile con tali disposizioni e se i principi da esse sanciti fossero di ostacolo ad una normativa nazionale di proroga delle vecchie concessioni. Con la sentenza del 16 marzo 2023 in commento, come era da attendersi – ed analogamente a quanto avvenuto in precedenza per le concessioni balneari con la nota sentenza del 14 luglio 2016 Promoimpresa (cause riunite C-458/14 e C-67/15) espressamente richiamata non una ma ben tre volte (Paragrafi 29, 32 e 45 sentenza) – la Corte di Giustizia ha risposto che anche in questo caso ed in questa materia “Gli articoli 49 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una proroga delle concessioni nel settore dei giochi d’azzardo e dei diritti derivanti dalla regolarizzazione della situazione dei centri di trasmissione dati che già esercitavano, ad una certa data, attività di raccolta di scommesse a favore di allibratori esteri
non titolari di una concessione e di una licenza di polizia”. La Corte ha quindi confermato e riaffermato il principio già noto e stabilito secondo cui le proroghe generalizzate di qualsiasi concessione sono contrarie al diritto eurounitario ed incompatibili con lo stesso (cfr. in particolare i Paragrafi da 42 a 45, 48 e 56 della sentenza).

L’unica precisazione che la Corte si preoccupa di aggiungere rispetto al caso delle concessioni demaniali è che in quello della raccolta delle scommesse la proroga “può essere ammessa sulla base delle deroghe espressamente previste dagli articoli 51 e 52 TFUE” e “può essere giustificata segnatamente da motivi imperativi di interesse generale come l’obiettivo di assicurare la continuità di un controllo sugli operatori di tale settore al fine di garantire la protezione dei consumatori”, purché sia dimostrato che “sia idonea a garantire la realizzazione di tale obiettivo” senza andare “oltre quanto è necessario per raggiungerlo” (Paragrafi 49 e ss. sentenza OL). Questo in quanto, come ricordato all’inizio e come fatto valere dallo Stato Italiano nel corso del procedimento, la materia delle scommesse e dei giochi in genere è caratterizzata dalle ricordate esigenze preminenti di ordine pubblico, sicurezza, legalità e tutela elevata dei cittadini e consumatori da parte dello Stato, che per questo ha riservato a sé l’attività e ha previsto vere e proprie concessioni per l’affidamento del servizio a terzi, con penetranti controlli sui concessionari autorizzati. Anche qui però la Corte precisa non solo che qualsiasi deroga deve comunque rispettare i
principi di non discriminazione e di proporzionalità, ma anche che “l’attribuzione di concessioni sulla base di un nuovo bando di gara, da un lato, costituirebbe una misura meno restrittiva per le libertà fondamentali sancite dagli articoli 49 e 56 TFUE rispetto alla proroga suddetta e, dall’altro, non pare tale da compromettere la realizzazione di detto obiettivo” (Paragrafo 55 sentenza OL). Se ne conclude che la sentenza OL del 16 marzo 2023 non smentisce né supera, bensì semmai riafferma e conferma, la statuizione ed il principio della incompatibilità con il diritto eurounitario delle proroghe automatiche e generalizzate di qualsiasi tipo di concessione pubblica e del favore verso le gare, di cui già nella sentenza Promoimpresa del 2016.

Anzi, con la sentenza in commento tale principio risulta addirittura rafforzato nella sua portata generale. Infatti mentre nel caso Promoimpresa la sua affermazione passava per l’intermediazione della nota Direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno (c.d. direttiva Bolkestein dal nome del suo relatore e non, per inciso, autore), nel caso oggi esaminato si nota che sia i quesiti pregiudiziali del Giudice del rinvio che la risposta data della Corte con la sentenza si fondano direttamente ed esclusivamente sull’efficacia e l’applicazione degli articoli 49 e 56 del Trattato e dei principi ivi previsti, senza alcun riferimento ad atti di diritto derivato. Se ne ricava che per l’operatività del principio in realtà non occorre necessariamente passare
né per siffatti atti di diritto derivato, né per la loro attuazione a livello nazionale. Il che, con particolare riguardo alla materia delle concessioni demaniali marittime, sta a significare che l’efficacia diretta o meno della Direttiva Bolkestein ai fini dell’assoggettamento delle concessioni all’evidenza pubblica, tema nuovamente sollevato da ultimo nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale del TAR Lecce n. 743 dell’11 maggio 2022 su cui si attende la decisione, è a ben vedere largamente irrilevante e costituisce un “falso problema” (uno dei tanti). La sentenza OL del 16 marzo 2023 conferma che la illegittimità di qualsiasi proroga generalizzata e la necessità dell’espletamento di procedure ad evidenza pubblica per la selezione dei concessionari discendono direttamente dal Trattato. E infatti al paragrafo 32 (su cui torneremo in conclusione) la Corte a scanso di equivoci, e riprendendo e citando il paragrafo 64 della sentenza Promoimpresa, precisa che in ogni caso “le autorità pubbliche, ove
intendano attribuire una concessione che non rientra nell’ambito di applicazione delle direttive relative alle varie categorie di contratti pubblici [che si tratti della Direttiva Bolkestein sui servizi economici, della Direttiva 2014/23/UE sulle concessioni di servizi pubblici, di quelle sugli appalti, o di altro, NdR], sono tenute a rispettare le norme fondamentali del Trattato FUE in generale e il principio di non discriminazione in particolare (sentenza del 14 luglio 2016, Promoimpresa e a., C‑458/14 e C‑67/15, punto 64 nonché la giurisprudenza ivi citata)”.

E’ vero che la sentenza in commento, nel descrivere il “contesto giuridico” di riferimento, menziona anche il considerando 15 e l’art. 5 della Direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione di lavori e servizi pubblici e sulla necessità di distinguere tali contratti da altre fattispecie contrattuali. Ma tale riferimento, peraltro già contenuto anche nella sentenza Promoimpresa del 2016 (Paragrafi 7, 45 e 48), non mette in discussione nulla di quanto precede, sia perché non è fatto per rispondere ai quesiti pregiudiziali che non ne sono riguardati, sia perché la direttiva in questione e i suoi contenuti non
hanno nessuna attinenza con la materia delle concessioni demaniali turistico-ricreative ma riguardano tutt’altro.
Infatti il detto riferimento alla Direttiva 2014/23/UE ed alla definizione dei contratti di concessione dalla stessa disciplinati non serve alla Corte per rispondere al giudice del rinvio sulla sostanza dei quesiti, ma solo per preliminarmente disattendere le osservazioni di uno dei governi intervenuti nel procedimento pregiudiziale. In particolare quello belga aveva sostenuto la irricevibilità dei quesiti pregiudiziali per ritenuta erronea individuazione da parte del Giudice rimettente delle norme da applicare, che ad avviso di quel governo sarebbero state non gli articoli 49, 56 e 106 TFUE bensì appunto la Direttiva 2014/23/UE
sull’aggiudicazione dei contratti di concessione di lavori e servizi pubblici (cfr. Paragrafo 22 sentenza OL).
Ma la Corte supera tale argomentazione, affermando che “il fatto che il giudice del rinvio non dimostri che la direttiva 2014/23 non si applica ai fatti oggetto della controversia nel procedimento principale non è suscettibile di rimettere in discussione la ricevibilità delle questioni sollevate, che vertono, segnatamente, sull’interpretazione degli articoli 49 e 56 TFUE” (cfr. Paragrafo 26 sentenza), e che “la Corte non dispone di elementi da cui risulti, da un lato, che le concessioni e i diritti prorogati accordati in virtù delle leggi n. 190/2014 e n. 208/2015 nel settore dei giochi d’azzardo in Italia costituiscono concessioni di servizi ai sensi dell’articolo 5, punto 1, lettera b), della direttiva 2014/23, e non accordi aventi ad oggetto il diritto di un operatore economico di esercitare un’attività in tale settore, mediante i quali la Repubblica italiana fissa unicamente le condizioni generali di esercizio di tale diritto, senza acquisizione di servizi specifici…. Pertanto, non si può escludere che la direttiva 2014/23 non si applichi a tali concessioni e a tali diritti” (cfr. paragrafi 30 e 31 sentenza).
In altre parole, poiché i quesiti pregiudiziali sollevati dal Giudice nazionale si rifanno agli articoli 49, 56 e 106 TFUE e non risultano né sono stati portati in giudizio elementi per stabilire se le concessioni di raccolta delle scommesse dello Stato italiano siano vere e proprie concessioni di servizio pubblico così come definite dall’art. 5 della Direttiva 2104/23/UE ai fini della sua applicazione, o contratti di tipo diverso (non importa, peraltro, quali – v. infra), ai quesiti pregiudiziali si può e deve rispondere, e lo si può e deve fare applicando appunto le norme del Trattato ed i principi che ne discendono. Che sono quelli di cui ai paragrafi 42 – 45, 48 e 56 della sentenza, di cui si è dato conto più sopra. Altri fini ed altra o ulteriore portata, diversi dall’aver voluto rispondere alle osservazioni del governo belga nei termini anzidetti, il richiamo in sentenza della Direttiva 2014/23/UE e del suo considerando 15 non ne ha.

In particolare, e diversamente da quanto riportato in alcune notizie di stampa pubblicate immediatamente a ridosso della sentenza OL del 16 marzo 2023, non sembra possibile ritenere che con tale sentenza Corte di Giustizia avrebbe dato indirettamente ragione ai concessionari demaniali e al Governo e al Parlamento sulla proroga delle concessioni in essere, rettificato la sentenza Promoimpresa, e addirittura anticipato i termini della decisione sul rinvio pregiudiziale da parte del TAR Lecce del 2022, prevista per il 20 aprile 2023.
Tali opinioni risulterebbero imperniate in particolare sul paragrafo 29 della sentenza OL, secondo cui “Ai sensi dell’articolo 5, punto 1, lettera b), della direttiva 2014/23, costituisce una concessione di servizi un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera a) del medesimo articolo 5, punto 1, ad uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo. Per contro, taluni accordi aventi ad oggetto il diritto di un operatore economico di gestire
determinati beni o risorse pubblici, in regime di diritto privato o pubblico, come dei terreni, mediante i quali lo Stato fissa unicamente le condizioni generali d’uso dei beni o delle risorse in questione senza acquisire lavori o servizi specifici, non dovrebbero – come risulta dal considerando 15 della citata direttiva – essere qualificati come «concessioni di servizi», ai sensi della direttiva 2014/23 (v., in tal senso, sentenza del 14 luglio 2016, Promoimpresa e a., C458/14 e C67/15, EU:C:2016:558, punto 48)”.
Ma il contenuto del paragrafo in questione – che corrisponde a parte del Paragrafo 48 della sentenza Promoimpresa, non a caso espressamente citato e richiamato – si pone in perfetta continuità con tale sentenza e le sue argomentazioni, rispetto a cui non si ravvisa alcuna contraddittorietà o riconsiderazione. Infatti, riprendendo (al pari della sentenza precedente) il considerando 15 della direttiva 214/23/UE specificamente dedicata all’aggiudicazione di concessioni di lavori e servizi pubblici, vi si afferma che i “taluni [non tutti, NdR] accordi aventi ad oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse pubblici, in regime di diritto privato o pubblico, come dei terreni, mediante i quali lo Stato fissa unicamente
le condizioni generali d’uso dei beni o delle risorse” non dovrebbero essere qualificati come concessioni di servizi specificamente “ai sensi della direttiva 2014/23” in questione, e solo di quest’ultima. Siffatti accordi non sarebbero quindi concessioni per l’aggiudicazione di lavori o servizi pubblici, ove il discrimine risiede nel fatto che con tali accordi non vengono acquisiti lavori o servizi specifici di spettanza dell’amministrazione, secondo la definizione dell’art. 5 della direttiva in questione.
Questo però non significa affatto che i “taluni accordi” in questione, anche se non sono concessioni di servizi pubblici dello Stato ai sensi della Direttiva 2014/23/UE, non siano e non possano essere considerati “concessioni di servizi” di tipo diverso, e segnatamente funzionali alla prestazione di servizi (non pubblici bensì) imprenditoriali privati resi sul mercato dietro corrispettivo, da aggiudicare anch’essi ad evidenza pubblica ai sensi ed in base ad altra disciplina ove ricorrano i presupposti individuati da quest’ultima. E quindi, in concreto, non esclude che, pur non rientrando nelle concessioni di cui alla Direttiva 2014/23/UE, possano comunque rientrare nelle concessioni comprese nei “regimi di autorizzazione” di cui ai considerando 39 e 57 ed all’art. 4, punto 6 della diversa Direttiva 2006/123/CE sui servizi di natura economica nel mercato interno, che includono appunto “le procedure amministrative per il rilascio di autorizzazioni, licenze, approvazioni o concessioni” e quelli in cui “l’accesso ad un’attività di servizio o il suo esercizio da parte di operatori richieda la decisione di un’autorità competente”.
Altrimenti detto, posto che la Direttiva 2014/23/UE disciplina la aggiudicazione di concessioni di lavori e servizi pubblici spettanti all’amministrazione, e la Direttiva 2006/123/CE la diversa materia delle concessioni per la prestazione sul mercato di servizi imprenditoriali privati dietro corrispettivo, la eventuale esclusione di “taluni accordi” (ammesso e non concesso, peraltro, che le concessioni demaniali marittime vi rientrino, cosa non affermata da nessuna parte e niente affatto scontata, v. infra) dalla prima Direttiva ai sensi del suo considerando 15 e del suo art. 5 non implica e non comporta affatto l’esclusione anche dalla seconda, e dalle diverse fattispecie che questa disciplina.

Un confronto coordinato delle due Direttive non fa che confermare quanto precede. Infatti, da un lato il considerando 14 della Direttiva 2014/23 (ben più significativo ed interessante del successivo considerando 15) precisa che non dovrebbero configurarsi come concessioni ai sensi di tale direttiva “determinati atti dello Stato membro, quali autorizzazioni o licenze, con cui lo Stato membro o una sua autorità pubblica stabiliscono le condizioni per l’esercizio di un’attività economica…” e che “Nel caso di tali atti dello Stato membro, si applicano le disposizioni specifiche della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio”, ovvero la Direttiva Bolkestein. Tale considerando quindi distingue le concessioni di servizi e lavori dalle concessioni e autorizzazioni per lo svolgimento di attività economiche, cui si applica la direttiva specifica, ovvero la Bolkestein 2006/123. E dall’altro lato il già citato considerando 57 di tale ultima direttiva specularmente precisa che “Le disposizioni della presente direttiva relative ai regimi di autorizzazione dovrebbero riguardare i casi in cui l’accesso ad un’attività di servizio o il suo esercizio da parte di operatori richieda la decisione di un’autorità competente. Ciò non riguarda … la conclusione di contratti da parte delle autorità competenti per la prestazione di un servizio particolare, che è disciplinata dalle norme sugli appalti pubblici…”, tra cui come è noto rientra latamente anche la Direttiva 2014/23.
In breve, e molto semplicemente e linearmente, contratti che non sono concessioni di servizi ai sensi della Direttiva del 2014 possono esserlo ai sensi della Direttiva Bolkestein del 2006, e viceversa. Ne viene che la tesi, basata su un mero inciso incidentale fatto a tutt’altri fini, secondo cui la sentenza OL del 16 marzo 2023 richiamando i casi di esclusione di “taluni accordi” diversi dalle concessioni di servizi pubblici di cui alla Direttiva 2014/23 (e la cui natura è tutta da vedere) anticiperebbe in qualsiasi modo una decisione riguardante l’applicazione o meno a siffatti accordi anche della Direttiva 2006/123 sui servizi imprenditoriali nel mercato, nel migliore dei casi confonde, e nel peggiore strumentalizza, due piani di
discussione del tutto diversi e tra loro non interdipendenti.

In realtà il piano su cui si muove la sentenza Promoimpresa del 2016 non risulta minimamente scalfito dai contenuti della recente sentenza OL. Quest’ultima, richiamando al paragrafo 29 il considerando 15 della Direttiva 2014/23 si limita a ricordare, in negativo, la esclusione dall’ambito delle concessioni di servizio pubblico disciplinate da tale direttiva (e solo da tale ambito) di “taluni accordi” la cui natura ad altri fini è tutta da stabilire, e lì si ferma. Invece la sentenza Promoimpresa, occupandosi (diversamente dalla sentenza OL) specificamente delle concessioni demaniali marittime, le qualifica in positivo includendole
motivatamente nelle “autorizzazioni” in senso ampio disciplinate dalla Direttiva 2006/123 relativa ai servizi sul mercato, in quanto si tratta di concessioni “che mirano allo sfruttamento di un’area demaniale a fini turistico-ricreativi” e “possono quindi essere qualificate come <<autorizzazioni>> ai sensi delle disposizioni della direttiva 2006/123, in quanto costituiscono atti formali, qualunque sia la loro qualificazione nel diritto nazionale, che i prestatori devono ottenere dalle autorità nazionali al fine di potere esercitare la loro attività economica” (cfr. Paragrafi 40 e 41 sentenza Promoimpresa).
A chiusura e supporto, la Corte in quella sede aggiunge che “le concessioni vertono non su una prestazione di servizi determinata dall’ente aggiudicatore” (nel qual caso sarebbero concessioni di servizi pubblici soggette alla relativa disciplina, di cui tra l’altro alla Direttiva 2014/23) “bensì sull’autorizzazione a esercitare un’attività economica in un’area demaniale” (Paragrafo 47 sentenza Promoimpresa). E a controprova nel successivo paragrafo 48 viene fin da allora richiamato proprio il considerando 15 della Direttiva 2014/23 che esclude da tale Direttiva (e, si ripete, solo da questa) “taluni accordi” i quali
“non dovrebbero configurarsi come <<concessione di servizi>> ai sensi di tale direttiva”, ma che ben possono costituire – e anzi nel caso delle concessioni demaniali in concreto deciso dalla sentenza Promoimpresa effettivamente costituiscono – concessioni per l’esercizio di attività economica ai sensi della Direttiva 2006/123. E il paragrafo 29 della odierna sentenza OL, riprendendo il medesimo richiamo, conferma pienamente tale impostazione senza contraddirla.

Oltre tutto, che le concessioni demaniali marittime per fini turistico-ricreativi rientrino effettivamente nei “taluni accordi aventi ad oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse pubblici, in regime di diritto privato o pubblico, come dei terreni, mediante i quali lo Stato fissa unicamente le condizioni generali d’uso dei beni o delle risorse” di cui al considerando 15 della direttiva 2014/23 richiamato dal Paragrafo 29 della sentenza OL, non viene affermato né da tale ultima sentenza, che si occupa di tutt’altro, né altrove, e sarebbe tutto da dimostrare. Invero, le caratteristiche specifiche di tali concessioni, costituenti non puri e semplici accordi negoziali ma formali atti amministrativi, e necessarie e funzionali allo sfruttamento economico dell’area demaniale e alla prestazione di servizi turistici retribuiti, in realtà sembrerebbero escluderlo. Ma anche se così non fosse, poco cambierebbe. Infatti, per quanto fin qui detto, quand’anche le concessioni in discorso fossero riconducibili ai suddetti “accordi” identificati dal considerando 15 della Direttiva 2014/23, ciò varrebbe ad eventualmente escluderle solo da tale direttiva sulle concessioni di servizi pubblici; ma, anche in virtù di quanto precisato al precedente
considerano 14 della stessa direttiva, non altresì dai “regimi di autorizzazione” di attività e servizi imprenditoriali disciplinati dalla Direttiva 2006/123. Su tale punto, la sentenza OL del 16 marzo 2023 non contiene né anticipazioni, né ripensamenti o revisioni.

In ultimo e a chiusura si torna su un altro dato essenziale, già anticipato sopra al punto 5 e su cui la odierna sentenza OL (Paragrafo 32) e la precedente sentenza Promoimpresa (Paragrafo 64) concordano e collimano perfettamente. Ovvero quello per cui in ogni caso “le autorità pubbliche, ove intendano attribuire una concessione che non rientra nell’ambito di applicazione delle direttive relative alle varie categorie di contratti pubblici, sono tenute a rispettare le norme fondamentali del Trattato FUE in generale e il principio di non discriminazione in particolare”.
Del resto, si tratta anzi tutto di principi risalenti e fondamentali dell’ordinamento nazionale, a prescindere da quello eurounitario. Infatti, che i contratti pubblici debbano essere preceduti da “pubblici incanti” costituisce principio basilare fin dal regio decreto 18.11.1923 n. 2440 (art. 3) e relativo regolamento di cui al regio decreto 23.5.1924 n. 827 (art. 37), se non da prima. Troppo spesso si dimentica che è ordinamento europeo ad avere ripreso dai preesistenti ordinamenti nazionali, non viceversa.

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