Confimprese: “Le prospettive delle imprese demaniali alla luce delle sentenze gemelle della Plenaria e della legge 118”

 

Mauro Della Valle, Pres. Confimprese Demaniali Italia, ritiene che la dettagliata rotta giuridica esplicitata in questa nota, elaborata dall’Ufficio legislativo rappresentato dagli Avvocati Leonardo Maruotti e Francesco Romano, in sintesi, evidenzia la necessità di effettuare tre step indispensabili: ultimare quanto prima la mappatura della costa, approvare una nuova normativa volta ad individuare i parametri in base ai quali si possa stabilire se una specifica area demaniale presenta un interesse transfrontaliero certo e se vi è scarsità della risorsa naturale, il rilascio di un unico atto amministrativo che ricomprenda al suo interno sia il titolo concessorio che il titolo edilizio (comprensivo di tutti i pareri e/o nulla osta).

Antonio Cecoro, Vice Presidente Confimprese Demaniali Italia, auspica che il Governo Meloni possa quanto prima comunicare i risultati del SICONBEP, cioè la ricognizione di tutti i beni pubblici affidati ai privati e convocare quanto prima le Associazioni di Categoria ed iniziare un percorso costruttivo, volto a riformare tutto il comparto turistico balneare.L’auspicio è che il Comparto possa finalmente uscire da un sistema del tutto incerto e precario, soprattutto per la stabilizzazione e la professionalità di tanti lavoratori.

Di seguito la relazione giuridica redatta dagli avvocati Leonardo Maruotti e Francesco G. Romano

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con le sentenze nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021, ha ritenuto che ogni concessione demaniale marittima, lacuale e fluviale, rilasciata all’interno del territorio nazione, presenti un interesse transfrontaliero certo e che in tutto il territorio nazionale vi è scarsità della risorsa naturale, ossia di litorale concedibile.
In particolare, i Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che “le spiagge italiane (così come le aree lacuali e fluviali) per conformazione, ubicazione geografica e attrazione turistica presentino tutte e nel loro insieme un interesse transfrontaliero certo, il che implica che la disciplina nazionale che prevede la proroga automatica e generalizzata si pone in contrasto con gli articoli 49 e 56 del TFUE, in quanto è suscettibile di limitare ingiustificatamente la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi nel mercato interno, a maggior ragione in un contesto di mercato nel quale le dinamiche concorrenziali sono già particolarmente affievolite a causa della lunga durata delle concessioni attualmente in essere”.
Inoltre, è stato affermato che “La valutazione della scarsità della risorsa naturale, invero, dipende essenzialmente dall’esistenza di aree disponibili sufficienti a permettere lo svolgimento della prestazione di servizi anche ad operatori economici diversi da quelli attualmente “protetti” dalla proroga ex lege.

Da questo punto di vista, i dati forniti dal sistema informativo del demanio marittimo (SID) del Ministero delle Infrastrutture rivelano che in Italia quasi il 50% delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari, con picchi che in alcune Regioni (come Liguria, Emilia-Romagna e Campania) arrivano quasi al 70%. Una percentuale di occupazione, quindi, molto elevata, specie se si considera che i tratti di litorale soggetti ad erosione sono in costante aumento e che una parte significativa della costa “libera” risulta non fruibile per finalità turistico-ricreative, perché inquinata o comunque “abbandonata”. […]

Tuttavia, l’interesse transfrontaliero certo, come chiarito dalle numerose sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in materia di appalti pubblici, deve risultare in modo chiaro da una valutazione concreta delle circostanze dell’appalto in questione quali, a titolo esemplificativo, l’importo dell’appalto, in combinazione con il luogo di esecuzione dei lavori o, ancora, le caratteristiche tecniche dell’appalto e le caratteristiche specifiche dei prodotti in causa, tenendo anche conto, eventualmente, dell’esistenza di denunce (reali e non fittizie) presentate da operatori ubicati in altri Stati membri.

In altri termini, si è in presenza di interesse transfrontaliero certo nei casi in cui un appalto o una concessione rilasciati da uno Stato membro dell’Unione Europea siano potenzialmente ‘appetibili’ da un’impresa con sede in Europa. Con specifico riferimento alle concessioni demaniali marittime, la Corte di Giustizia (Sez. V, 14 luglio 2016, cause riunite C458/14 e C67/15, cd. Sentenza Promoimpresa), non avendo il Legislatore italiano individuato i criteri per stabilire in presenza di quali presupposti possa dirsi sussistente l’interesse transfrontaliero certo, ha chiarito che, al fine di comprendere se è possibile applicare la cd. Direttiva Bolkestein, è necessario che il Giudice nazionale valuti caso per caso la sussistenza dell’interesse transfrontaliero certo.

In particolare, la Corte di Giustizia, con la sentenza Promoimpresa, ha specificato che “nella causa C-67/15, il giudice del rinvio non ha fornito gli elementi necessari per consentire alla Corte di ritenere che esista un interesse transfrontaliero certo. Orbene, come risulta dall’articolo 94 del regolamento di procedura, la Corte deve poter rinvenire in una domanda di pronuncia pregiudiziale un’illustrazione delle circostanze di fatto sulle quali si basano le questioni, nonché del legame esistente segnatamente tra tali circostanze e dette questioni. Di conseguenza, la constatazione degli elementi necessari per consentire di valutare la sussistenza di un interesse transfrontaliero certo dovrebbe essere effettuata dal giudice del rinvio prima di adire la Corte (v., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2015, UNIS e Beaudout Père et Fils, C-25/14 e C-26/14, EU:C:2015:821, punto 28).

Alla luce dei suesposti rilievi, la prima questione pregiudiziale sollevata nella causa C-67/15 è irricevibile. […] Per quanto riguarda la causa C-458/14 […] Dalle suesposte considerazioni risulta che l’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico-ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo”.

Così, infatti, in materia di appalti pubblici, il Giudice Comunitario ha affermato: “l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo non può essere ricavata in via ipotetica da taluni elementi che, considerati in astratto, potrebbero costituire indizi in tal senso, ma deve risultare in modo chiaro da una valutazione concreta delle circostanze dell’appalto in questione. Più in particolare, il giudice del rinvio non può limitarsi a presentare alla Corte elementi che permettano di non escludere l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo, ma, al contrario, deve fornire i dati idonei a dimostrarne l’esistenza. […]

A tal riguardo, non sarebbe giustificato ritenere che un appalto di lavori come quello in causa nel procedimento principale, avente un importo che non raggiunge nemmeno il quarto della soglia prevista dalle norme del diritto dell’Unione ed il cui luogo di esecuzione è situato a 200 chilometri dal confine con un altro Stato membro, possa presentare un interesse transfrontaliero certo per il solo motivo che un determinato numero di offerte sono state presentate da imprese aventi sede nello Stato membro considerato ed ubicate a una distanza notevole dal luogo di esecuzione dei lavori di cui trattasi” (Corte giustizia UE, sez. IV, 06/10/2016, n. 318).

Pertanto, applicando analogicamente la normativa e la Giurisprudenza in materia di appalti pubblici, è evidente che in assenza di specifici parametri riguardanti il valore della concessione demaniale marittima individuati dal Legislatore, non è possibile affermare la sussistenza dell’interesse transfrontaliero certo che, quindi, diversamente, deve essere valutato caso per caso dal Giudice investito della questione. Infatti, in materia di appalti pubblici, al fine di applicare correttamente i principi eurounitari, il D.Lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice degli Appalti), ha recepito le soglie determinate dalla Commissione Europea, al fine di stabilire in quali casi si è in presenza di interesse transfrontaliero certo.

Allo stesso modo, il medesimo Codice, all’art. 36, ha indicato i casi in cui non è necessario l’espletamento di una procedura ad evidenza pubblica in quanto il valore dell’appalto è troppo esiguo per far si, di regola, che sia ‘appetibile’ da un operatore straniero. Pertanto, in ossequio alla normativa e alla giurisprudenza eurounitaria, il Legislatore dovrebbe individuare criteri oggettivi che possano stabilire quali siano le concessioni demaniali marittime che presentano interesse transfrontaliero certo.

Considerato che non è possibile indicare un valore ‘oggettivo’ per ogni concessione demaniale, sarebbe auspicabile che il Legislatore individui un criterio che tenga conto dell’estensione della concessione demaniale marittima, della valenza turistica dell’area demaniale e della distanza da altro Stato membro dell’Unione Europea.
Inoltre, la Direttiva cd. Bolkestein, all’art. 12, comma 1, stabilisce che “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”.

Per risorsa naturale scarsa si intende il caso in cui il bene, nel nostro caso la costa concedibile, sia limitato e, quindi, non può essere assegnato a tutti i soggetti che sono potenzialmente interessati. Anche riguardo a tale presupposto, la Corte di Giustizia ha chiarito che, in assenza di una specifica disposizione legislativa, il Giudice nazionale investito della questione deve valutare caso per caso se si è in presenza di una risorsa scarsa.
Quindi, ancora una volta, sarebbe auspicabile che il Legislatore individui un parametro oggettivo che permetta di chiarire quando si è in presenza di una risorsa scarsa; in particolare, come stabilito dalla Regione Puglia, il parametro equo potrebbe essere individuato nel rapporto 60-40: ossia, tenendo conto delle aree potenzialmente concedibili e balneabili, si è in presenza di risorsa scarsa nel caso in cui le aree assegnate in concessione siano pari o superiori al 40% della costa astrattamente concedibile (ossia che, indipendentemente dalla previsione dello strumento di pianificazione demaniale, presenti le caratteristiche tali per essere assegnata in concessione) e balneabile.

Tale parametro, inoltre, dovrebbe essere riferibile non certo al territorio nazionale nella sua interezza ma, al fine di poter realmente valutare la scarsità della risorsa, al tratto di litorale di ogni singolo Comune. Tuttavia, al fine poter disporre di dati utili per verificare l’eventuale scarsità della risorsa, è indispensabile poter avere a disposizione una ‘fotografia’ delle concessioni rilasciate all’interno del territorio nazione, dalla quale siano facilmente individuabili i tratti di costa assegnati in concessione ed i tratti di costa ‘liberi’; operazione indefettibile e preliminare all’eventuale procedura comparativa.
A tal fine, l’art. 2 della legge n. 118 del 5 agosto 2022 (cd. Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021), ha disposto che “Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge […] un decreto legislativo per la costituzione e il coordinamento di un sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici al fine di promuovere la massima pubblicità e trasparenza, anche in forma sintetica, dei principali dati e delle informazioni relativi a tutti i rapporti concessori, tenendo conto delle esigenze di difesa e sicurezza”.

Pertanto, al fine di poter disporre di una normativa equa ed esaustiva, sarebbe auspicabile, in primo luogo, l’ultimazione della ‘mappatura’ della costa e, inoltre, il rapido intervento del Parlamento volto ad individuare i parametri che possano stabilire in modo oggettivo in quali casi una specifica concessione demaniale marittima, lacuale o fluviale sia soggetta a procedura comparativa, ossia se vi è scarsità della risorsa naturale ed interesse transfrontaliero certo.

 

La Corte Costituzionale “glissa” sul conflitto di attribuzioni proposto da Fratelli d’Italia

E’ stata depositata il 17 giugno scorso l’ordinanza 154/2022 decisa nella camera di consiglio del 25 maggio e avente ad oggetto le Sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 17 e n. 18 del 09/11/2021

Nello specifico, la Corte Costituzionale non ha affrontato minimamente il merito degli abusi commessi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato allorquando ha sconfinato in prerogative costituzionalmente attribuite al Parlamento e alla stessa Corte costituzionale.
Se l’è cavata con una comodissima sentenza in rito affermando che i singoli parlamentari non hanno legittimazione a sollevare il conflitto di attribuzioni in quanto non rappresentano la Camera nella sua totalità e alla quale soltanto compete la legittimazione a sollevare il conflitto di attribuzioni.
E comunque, viene affermato che ai singoli parlamentari, nessuno ha mai impedito, men che meno l’Adunanza Plenaria, il diritto di parola, di proposta di legge e votazione, espressioni delle prerogative dei parlamentari, nel che risiede l’ulteriore affermata ragione di inammissibilità.
Ma le ragioni di inammissibilità, autorizzavano il CDS a sconfinare dai limiti propri della sua funzione che non è certo quella di fare il legislatore, né la Corte di Giustizia nell’interpretare il diritto unionale e men che meno la Corte costituzionale nel calibrare nel tempo gli effetti delle proprie sentenze, assegnando termini al legislatore? Questo non lo sapremo mai..

DI SEGUITO L’ORDINANZA:

Giudizio: GIUDIZIO SULL’AMMISSIBILITÀ DI RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE TRA POTERI DELLO STATO
Presidente: AMATO – Redattore: DE PRETIS
Camera di Consiglio del 25/05/2022; Decisione del 25/05/2022

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giuliano AMATO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito delle sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato numeri 17 (R.G. A.P. n. 14/2021) e 18 (R.G. A.P. n. 13/2021) del 9 novembre 2021, promosso da Riccardo Zucconi, nella qualità di deputato, e altri con ricorso depositato in cancelleria il 25 gennaio 2022, iscritto al n. 3 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2022, fase di ammissibilità.
Udita nella camera di consiglio del 25 maggio 2022 la Giudice relatrice Daria de Pretis;
deliberato nella camera di consiglio del 25 maggio 2022.

Ritenuto che, con ricorso depositato il 25 gennaio 2022, Riccardo Zucconi e altri sei deputati hanno sollevato un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato contro il Consiglio di Stato, in persona del Presidente pro tempore;
che i ricorrenti chiedono la «disapplicazione, in tutto o in parte», delle sentenze dell’Adunanza plenaria n. 17 e n. 18 del 9 novembre 2021, riguardanti la proroga legislativa delle concessioni balneari, per la «lesione […] della potestà normativa spettante ai parlamentari nella parte in cui enunciano i […] principi di diritto» indicati nel punto 51 di entrambe le pronunce (e riportati nel ricorso), «nonché nella parte in cui dettano disposizioni vincolanti e limitanti per il legislatore con particolare riferimento ai paragrafi da 47 a 49 delle sentenze» (riportati nel ricorso);
che l’Adunanza plenaria ha pronunciato le due sentenze oggetto del conflitto a seguito del decreto n. 160 del 24 maggio 2021, con cui il Presidente del Consiglio di Stato aveva deferito ad essa la trattazione di due ricorsi in appello, ai sensi dell’art. 99, comma 2, dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), sottoponendole tre questioni di diritto, la prima delle quali relativa alla sussistenza o meno del dovere di disapplicazione delle leggi statali o regionali che prevedono proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni balneari;
che il primo principio di diritto fissato dall’Adunanza plenaria nelle contestate sentenze riguarda il dovere dei giudici e della pubblica amministrazione di disapplicare le «norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative», cioè l’art. 1, commi 682 e 683, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), e l’art. 182, comma 2, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, in quanto contrastanti con l’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, che vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, che richiede una «selezione tra diversi candidati» qualora «il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili», e vieta «la procedura di rinnovo automatico»;
che, con il secondo principio di diritto, l’Adunanza plenaria ha sancito l’insussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo agli attuali concessionari anche qualora siano intervenuti atti amministrativi di proroga, senza che rispetto a questi ultimi sia necessario attivare i poteri di autotutela della pubblica amministrazione, «in quanto l’effetto di cui si discute e` direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata», ragion per cui la non applicazione della legge implica che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non essent;
che, con il terzo principio di diritto, l’Adunanza plenaria ha statuito quanto segue: «[a]l fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.»;
che, nei paragrafi 47-48 delle sentenze, a loro volta contestati con il ricorso, l’Adunanza plenaria illustra le ragioni per le quali, «a fronte di un quadro di incertezza normativa», ritiene necessario «modulare gli effetti temporali della propria decisione», osservando che «[l]a deroga alla retroattività trova fondamento nel principio di certezza del diritto»;
che, nel paragrafo 49, l’Adunanza plenaria si esprime sui «principi che dovranno ispirare lo svolgimento delle gare, ferma restando la discrezionalità del legislatore nell’approntare la normativa di riordino del settore»;
che i ricorrenti riepilogano il quadro normativo vigente in tema di concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, ricordando le precedenti leggi statali di proroga, e richiamano la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 14 luglio 2016, in cause C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa, e la citata legge n. 145 del 2018, che ha disposto la proroga delle concessioni demaniali marittime per ulteriori 15 anni, cioè fino al 2033 (art. 1, commi 682 e 683);
che, nel punto 1 del ricorso, i sette deputati, quanto all’ammissibilità dello stesso, argomentano a sostegno della loro legittimazione, dichiarando di essere tutti membri del gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia e di agire «congiuntamente e disgiuntamente nella loro qualità di parlamentari». In tale veste e quali rappresentanti della Nazione ai sensi dell’art. 67 della Costituzione, essi affermano il loro diritto di «attuare il procedimento legislativo […] sia attraverso la presentazione di progetti di legge ed emendamenti (art. 71 Cost.) sia mediante l’esame dei progetti di legge presentati nelle commissioni e in aula (art. 72 Cost.)»;
che, secondo i ricorrenti, la lesione delle loro prerogative deriverebbe: a) dall’«individuazione del termine di validità delle concessioni in essere»; b) dalla «delimitazione delle […] regole per le future procedure di gara cui assoggettare le concessioni demaniali marittime»; c) dall’«impedimento al legislatore di legiferare in modo difforme dal sentenziato», nonostante «gli spazi di operatività che […] anche il legislatore comunitario ha doverosamente inteso lasciare al Parlamento italiano»;
che i ricorrenti riferiscono di aver presentato un progetto di legge in materia di concessioni demaniali marittime (n. 652, depositato presso la Camera il 22 maggio 2018) e osservano che, se esso venisse approvato, sarebbe «automaticamente destinato alla disapplicazione in quanto difforme rispetto agli indirizzi interpretativi del Consiglio di Stato»;
che, nel punto 2 del ricorso, si lamenta la violazione degli artt. 101, 103 e 111, settimo e ottavo comma, Cost. (e l’«eccesso di potere nell’esercizio delle competenze ex art. 99 D. Lgs. n. 104/2010»), in quanto l’Adunanza plenaria sarebbe andata al di là delle proprie funzioni di nomofilachia, introducendo nuove norme sostitutive della legislazione vigente;
che, nel punto 3 del ricorso, si lamenta la violazione dell’«art. 71 Cost. in rapporto all’art. 117 Cost. – Eccesso di potere», poiché, nonostante quanto ritenuto dal Consiglio di Stato, il legislatore avrebbe rispettato il diritto europeo, «che riserva al legislatore nazionale la possibilità di modulare le proprie normative per garantire le esigenze nazionali da un lato e il bilanciamento degli assetti di interessi dall’altro»;
che, nel punto 4 del ricorso, si lamenta la violazione degli «artt. 67 e 71 Cost. – esercizio di prerogative di competenza dei membri del Parlamento», in relazione alle affermazioni dell’Adunanza plenaria riguardanti la diretta applicabilità dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, il concetto di «scarsità delle risorse naturali» di cui al citato art. 12, paragrafo 1, il concetto di «interesse transfrontaliero certo» rilevante ai fini dell’art. 49 TFUE e il legittimo affidamento dei concessionari uscenti;
che, infine, nel punto 5 del ricorso si lamenta la violazione dell’«art. 11 Cost. con riferimento agli artt. 101 e 111 Cost. e alle competenze ex art. 99 D. Lgs. n. 104/2010», ritenendosi che il Consiglio di Stato abbia introdotto «regole più stringenti rispetto a quelle […] previste dallo stesso ordinamento comunitario».
Considerato che Riccardo Zucconi e altri sei deputati hanno sollevato un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato contro il Consiglio di Stato, in persona del Presidente pro tempore;
che i ricorrenti chiedono la «disapplicazione, in tutto o in parte», delle sentenze dell’Adunanza plenaria n. 17 e n. 18 del 9 novembre 2021, riguardanti la proroga legislativa delle concessioni balneari, per la «lesione […] della potestà normativa spettante ai parlamentari nella parte in cui enunciano i […] principi di diritto» indicati nel punto 51 di entrambe le pronunce (e riportati nel ricorso), «nonché nella parte in cui dettano disposizioni vincolanti e limitanti per il legislatore con particolare riferimento ai paragrafi da 47 a 49 delle sentenze» (riportati nel ricorso);
che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni delineata per i vari poteri da norme costituzionali;
che questa Corte, con l’ordinanza n. 17 del 2019, ha riconosciuto, quanto al profilo soggettivo, l’esistenza di una sfera di prerogative del singolo parlamentare, diverse e distinte da quelle che spettano all’assemblea di cui fa parte – prerogative che, qualora risultino lese da altri organi parlamentari, possono essere difese con lo strumento del ricorso per conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato – e ha precisato, altresì, che si tratta delle «attribuzioni inerenti al diritto di parola, di proposta e di voto, […] da esercitare in modo autonomo e indipendente, non rimuovibili né modificabili a iniziativa di altro organo parlamentare»;
che, invece, per la tutela delle prerogative che spettano all’assemblea nel suo complesso la legittimazione a sollevare un conflitto compete a ciascuna Camera (ordinanze n. 188 e n. 186 del 2021, n. 129 del 2020 e n. 17 del 2019);
che, in base all’art. 70 Cost., «[l]a funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere», unici «organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono» (art. 37 della legge n. 87 del 1953), essendo ogni Camera, e solo ogni Camera, idonea a dire “l’ultima parola” nell’esercizio della funzione legislativa;
che, dunque, nella sua parte principale – che censura il carattere “legislativo” delle sentenze dell’Adunanza plenaria e il loro effetto condizionante la futura attività parlamentare – il ricorso è inammissibile perché con esso i singoli parlamentari fanno valere una prerogativa che spetta, in realtà, alla Camera di appartenenza;
che in più casi questa Corte ha dichiarato l’inammissibilità di conflitti sollevati da singoli parlamentari, escludendo che essi potessero rappresentare l’intero organo di appartenenza (ordinanze n. 80 del 2022 e n. 277 del 2017) o osservando che la funzione rivendicata spettava alla Camera o al Senato (ordinanze n. 255, n. 67 e n. 66 del 2021, n. 129 del 2020 e n. 163 del 2018);
che, in tre passaggi del ricorso, i sette deputati lamentano la menomazione delle loro prerogative in quanto singoli parlamentari, affermando, in primo luogo, che ad essi sarebbe preclusa qualsiasi iniziativa che possa condurre ad una regolazione della materia diversa da quella imposta dall’Adunanza plenaria, richiamando poi le prerogative previste dagli artt. 67, 71 e 72 Cost. e osservando, infine, che, se venisse approvato il disegno di legge n. 652, depositato dagli stessi ricorrenti presso la Camera il 22 maggio 2018, sarebbe «automaticamente destinato alla disapplicazione in quanto difforme rispetto agli indirizzi interpretativi del Consiglio di Stato»;
che, in realtà, anche in tali punti il ricorso denuncia il condizionamento che deriverebbe dalle due sentenze contestate a carico della funzione legislativa delle Camere, e non di prerogative del tipo di quelle che questa Corte ritiene segnatamente riconosciute ai singoli parlamentari, con conseguente inammissibilità delle censure, per quanto sopra già osservato;
che, comunque, se anche si volessero ritenere effettivamente invocate prerogative spettanti ai parlamentari individualmente considerati, il ricorso sarebbe inammissibile perché non dà conto di alcun ostacolo all’esercizio del diritto di parola, proposta e voto dei deputati, attestando, anzi, l’avvenuto deposito di un disegno di legge e prospettando la possibilità della sua approvazione, sicché non risulta allegata né comprovata «una sostanziale negazione o un’evidente menomazione» delle loro prerogative costituzionali (ordinanze n. 193, n. 67 e n. 66 del 2021, n. 60 del 2020, n. 275, n. 274 e n. 17 del 2019);
che, per tali ragioni, il ricorso per conflitto di attribuzioni va dichiarato inammissibile.

Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe, proposto da Riccardo Zucconi e altri sei deputati nei confronti del Consiglio di Stato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Daria de PRETIS, Redattrice
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2022.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE