AI FINI DELL’ ARMONIZZAZIONE DELLA NORMATIVA DEGLI STATI MEMBRI IN MATERIA DI CONCESSIONI DEMANIALI TURISTICO-RICREATIVE, PER LA TUTELA DI UN SETTORE STRATEGICO DELL’ ECONOMIA NAZIONALE, QUELLO TURISTICO, IN CUI LA U.E. NON HA COMPETENZA DIRETTA.
La sentenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Adunanza plenaria, pubblicata in data 9 novembre 2021, per le sue rilevanti implicazioni economiche e sociali sul nostro tessuto produttivo turistico, impone alcune considerazioni. La sua incidenza determina gravi sperequazioni nella normativa di settore delle concessioni demaniali turistico-ricreativo italiane, se raffrontata in particolare con quella di altri Stati membri dell’Unione Europea, tra gli altri Spagna e Portogallo, nostri diretti concorrenti nel campo del turismo internazionale.
Come è noto questi Stati membri, prevedendo nel settore delle concessioni demaniali turistico-ricreative un quadro normativo protezionistico, con procedure di rinnovo automatico per periodi temporali molto estesi, di fatto erige vere e proprie barriere all’ingresso di altre imprese, nazionali e di altri Stati dell’Unione Europea, con ciò vanificando le finalità della direttiva 2006/123, che si vorrebbe impropriamente applicata al nostro settore, e che deve essere considerata una direttiva di liberalizzazione, nel senso che è tesa ad eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento e di servizio, garantendo l’implementazione del mercato interno e del principio concorrenziale ad esso sotteso.
Direttiva per la quale la Commissione Europea ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, ma non degli altri Stati dell’Unione che non le hanno dato attuazione.
Peraltro, se è vero che la direttiva 2006/123 (Direttiva Bolkestein), che con interpretazione non condivisibile si ritiene applicabile alle concessioni demaniali di beni marittimi, lacuali e fluviali, deve essere considerata una direttiva di liberalizzazione, il quadro normativo degli Stati membri dovrebbe subire una preventiva armonizzazione, al fine di evitare gravi squilibri competitivi tra le economia turistiche degli stessi.
Nel settore delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative, le notevoli differenze esistenti fra le legislazioni degli Stati membri (in particolare quelli più direttamente interessati ossia, oltre all’Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Croazia) richiederebbe una preventiva armonizzazione delle normative nazionali applicabili in tale settore (sul punto ricordiamo la sentenza del Tribunal Costitucional spagnolo n. 223/2015, che, proprio su queste basi, ha escluso che la direttiva stessa si applichi al caso di concessione demaniale, ritenendo, appunto che la concessione “si configura come titolo di occupazione di demanio pubblico, non come misura di intervento secondo le leggi di settore che ricadono sull’attività […]. Sarà quindi questa normativa di settore a disciplinare le attività di impresa di cui la concessione pubblica risulta essere solo il supporto fisico”.
Presupponendo tale preventiva armonizzazione, la direttiva 2006/123 avrebbe dovuto essere fondata, oltre che sugli articoli del Trattato relativi alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi (artt. 53 e 63 TFUE) anche su un’altra base giuridica, vale a dire sull’art. 115 TFUE, che prevede il ricorso all’unanimità per l’adozione di atti normativi aventi come obiettivo l’armonizzazione delle legislazioni nazionali (mentre la direttiva 2006/123 è stata approvata a maggioranza).
Ma vi è di più. La direttiva 2006/123, se applicata alle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative, al fine di evitare ingiustificate violazioni della concorrenza, dovrebbe comportare necessariamente un’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia di turismo, ponendosi così anche in contrasto con quanto oggi prevede l’art. 195 TFUE, secondo il quale, in materia di turismo, l’Unione europea si limita soltanto ad una politica di accompagnamento, con esclusione di “qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri”.
Per questi motivi, ed in primo luogo per evitare ingiustificate restrizioni alla concorrenza e disparità di trattamento per le imprese turistiche italiane nei confronti di quelle degli Stati membri nostri diretti competitori, riteniamo indispensabile che il Governo italiano, al fine della difesa di un settore strategico dell’economia nazionale, richieda alla Commissione europea, melius re perpensa, un congruo periodo di moratoria degli effetti della Direttiva Bolkestein, volto non solo ed in primo luogo ad ottenere una preventiva armonizzazione del quadro normativo di settore negli Stati membri, ma anche a ridefinire il perimetro di applicazione della Direttiva stessa al settore delle concessioni demaniali turistico-ricreative.
Questa moratoria avrebbe l’effetto di vanificare non solo le estemporanee iniziative di quei funzionari comunali che omettono di dare attuazione alle disposizioni della legge n. 145/2018, ma anche di eliminare la possibile configurazione del reato di cui all’art. 1161 del Codice della navigazione che punisce colui il quale arbitrariamente occupa uno spazio del demanio marittimo.
E’ infatti sulla base della fattispecie di cui all’art. 1161 Cod. Nav. che Procure della Repubblica come quella di Genova, hanno sequestrato intere aree del demanio marittimo su cui insistono non solo stabilimenti balneari ma anche le civili abitazioni dei concessionari.
In questi casi il sequestro penale trova il suo fondamento sulla considerazione che il titolo concessorio sarebbe illegittimo per contrasto con la superiore normativa dell’Unione (la Direttiva Bolkestein) e, quindi, tamquam non esset, con la pratica conseguenza che il titolare della concessione viene a trovarsi nella posizione di abusivo occupante di uno spazio del demanio marittimo.
Se, poi, le notizie riportate dal quotidiano il Foglio del 19/11/2021 fossero confermate, il quadro complessivo sarebbe oltremodo preoccupante. Riferisce il quotidiano il Foglio che il Presidente del Consiglio Draghi “ pensa a inserire la riforma delle concessioni balneari in legge di Bilancio…”, di “riunioni a Palazzo Chigi” di “contatti tra Giavazzi e Patroni Griffi”, cioè tra il Prof. Giavazzi, “Senior Advisor” di Palazzo Chigi, da sempre amico di Draghi, di cui il Presidente si fida ciecamente, e il Presidente del Consiglio di Stato, al fine di “indire le gare con una norma da varare in Parlamento in tempi rapidi”.
Quale sia il pensiero del Presidente del Consiglio di Stato sul futuro dei litorali italiano è noto, ed è ben esplicitato nella citata sentenza dell’Adunanza Plenaria (p.16), ove si precisa, in contrasto con la stessa sentenza Promoimpresa della Corte di Giustizia UE, che non “si può sminuire l’importanza e la potenzialità economica del patrimonio costiero nazionale attraverso un artificioso frazionamento del medesimo, nel tentativo di valutare l’interesse transfrontaliero rispetto alle singole aree demaniali date in concessione, … ”, tanto più che “L’attrattiva economica è aumentata dall’ampia possibilità di ricorrere alla sub- concessione.”. Questa tesi se calata nel progetto di riforma spianerebbe la strada ad acquisizioni in blocco di vasti settori del nostro demanio marittimo da parte del grande capitale finanziario, che diventerebbe il dominus delle coste italiane, da amministrare a piacimento attraverso l’art. 45 bis del codice della navigazione, istituto giuridico che consente l’affitto di tutto o parte delle aziende balneari possedute in concessione.
Per tali motivi oltre che pretendere dalla Commissione europea una moratoria, una sospensione dell’efficacia della Direttiva Bolkestein nel settore delle concessioni demaniali per uso turistico-ricreativo, il Governo e le forze politiche debbono celermente delineare un progetto di riforma del settore, che contenga quelle misure idonee a salvaguardare il patrimonio socio-economico rappresentato dalle migliaia di piccole e micro imprese balneari italiane, prevedendo, nel contempo, criteri di gara a tutela del concessionario, che la stessa sentenza del Consiglio di Stato ritiene ammissibili : “Nell’ambito della valutazione della capacità tecnica e professionale potranno, tuttavia, essere individuati criteri che, nel rispetto della par condicio, consentano anche di valorizzare l’esperienza professionale e il know-how acquisito da chi ha già svolto attività di gestione di beni analoghi e, quindi, anche del concessionario uscente …” (p. 49), escludendo al tempo stesso qualsiasi possibilità di rialzi d’asta sull’ammontare dei canoni, la cui entità deve essere previamente determinata dallo Stato.
La riforma della materia con la previsione di criteri volti a disciplinare i bandi di gara in modo uniforme sul territorio nazionale riveste i caratteri dell’urgenza poiché la stessa sentenza del Consiglio di Stato fornisce alle Amministrazioni competenti l’indicazione di procedere con le gare anche in assenza dell’intervento di riordino del legislatore (p. 26).
Un’ultima considerazione sulla sentenza del Consiglio di Stato del 9/11/2021. Tra le tante considerazioni metagiuridiche e di politica legislativa di cui è intrisa, la più sorprendente è quella relativa all’istituto della proroga delle concessioni. Da un lato si afferma l’illegittimità della proroga concessa dal legislatore al 2033, che deve essere disapplicata non solo da Giudice, ma da tutti gli organi dell’Amministrazione, dall’altro si concede per via giudiziaria ai titolari delle concessioni demaniali turistico-ricreative una proroga al 31 dicembre 2023.
Per quanto sopra considerato, Assobalneari Italia, aderente a Federturismo Confindustria, chiede con fermezza alle forze politiche ed al Governo di intraprendere una rapida azione nei confronti della Commissione europea finalizzata ad ottenere la sospensione della applicazione nel campo delle concessioni demaniali turistico-ricreative della Direttiva Bolkestein per il nostro Paese, chiarendo le sue implicazioni nel settore turistico (nel quale, ricordiamo, l’Unione europea non ha una competenza diretta, ma di semplice accompagnamento), l’applicabilità della stessa alle concessioni di beni, e, in ogni caso, fino a che non vi sia una reale armonizzazione del quadro normativo del settore in tutti gli Stati membri.