In un articolo del sito web dell’associazione “attuare la Costituzione” il giudice emerito della Corte Costituzionale Paolo Maddalena afferma che ” impossibile, dal punto di vista costituzionale, porre sul mercato quelle fonti di produzione di ricchezza costituite dal demanio come le spiagge”.
Questa la sua tesi: Sulla base degli ultimi avvenimenti, relativi specialmente al tema della concorrenza, rilevo che governo e magistratura amministrativa, fortemente influenzati dai Trattati europei, pongono in secondo piano i principi e i diritti fondamentali della Costituzione, i quali, secondo una consolidata giurisprudenza costituzionale, detta dei contro limiti, devono prevalere sui Trattati.
In realtà, a mio sommesso avviso, sfugge ai giuristi che, passando da un ordinamento statutario fondato su concetto di Stato persona giuridica singola a un ordinamento costituzionale fondato sul concetto di Stato-Comunità soggetto plurimo, è cambiato anche il concetto di demanio, al quale ben si attaglia la definizione di demanio costituzionale.
Questo, come già rilevò M.S. Giannini nel secolo scorso, è costituito dalla “proprietà pubblica” demaniale del Popolo sovrano di cui al primo comma, primo alinea, dell’articolo 42 cost. (concetto nuovo che scalza il vecchio concetto di proprietà pubblica, considerata come proprietà privata dell’Ente pubblico, rafforzata in alcuni casi con la previsione dell’inalienabilità).
Il contenuto di tale proprietà pubblica concerne il paesaggio, i beni artistici e storici, (art. 9 Cost.), i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia, le situazioni di monopolio e le industrie strategiche (art. 43 Cost.). Tutti elementi identificativi e costitutivi dello Stato-Comunità, che peraltro presiedono allo sviluppo economico del Paese. Ciò significa, per quanto riguarda l’oggetto dell’odierna discussione, che sono inalienabili i servizi pubblici essenziali, mentre è fuori discussione che merita particolare attenzione il diritto fondamentale al lavoro (art. 4 Cost.), essendo la nostra Repubblica fondata sul lavoro (art. 1 Cost.).
“Il punto più tragico dell’attuale posizione governativa riguarda la violazione della distinzione costituzionale fra beni demaniali fuori commercio, quali i servizi pubblici essenziali, che fanno parte del demanio costituzionale, e beni commerciabili, che sono per loro natura alienabili.
È dunque impossibile dal punto di vista costituzionale porre sul mercato, sul quale certamente siamo perdenti per le nostre limitate possibilità economiche, quelle fonti di produzione di ricchezza costituite dal citato demanio costituzionale. Parlo, evidentemente, della messa a gara del servizio essenziale dei taxi e della gestione delle spiagge, sia pur, queste ultime, rinviate a dicembre 2023.
Questo atteggiamento, a mio avviso, è palesemente in contrasto con la Costituzione e danneggia in modo irrimediabile lo sviluppo economico italiano”.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza n. 3665 del 2011, parlando di tutela del “paesaggio”, hanno già rilevato la insufficienza dell’attuale elencazione tassativa del “demanio” dello Stato, per garantire la “demanialità” di quei beni che assicurano il “perseguimento e il soddisfacimento degli interessi della Collettività e dei diritti fondamentali” e ha ritenuto che l’evoluzione costituzionale (e precisamente, per quanto riguarda il paesaggio, gli articoli 2, 9 e 42 della Costituzione) consenta oggi di attribuire tale carattere a quei beni che siano “funzionalmente idonei” al perseguimento dei fini suddetti. Insomma, i principi e le norme costituzionali consentirebbero, al fine di stabilire la inalienabilità di certi beni, di abbandonare il piano “patrimonialistico”, per risolvere i problemi sul piano “personalistico”, considerata la grande rilevanza che la Costituzione conferisce al tema assorbente dello sviluppo della “persona umana”. Sennonché è agevole rilevare in proposito che dalla “evoluzione costituzionale”, richiamata dalla sentenza in parola, non discende affatto la possibilità di attribuire all’ “oggetto” una “qualifica” che discende da una “esigenza” del “soggetto” (la persona umana e la Collettività), poiché è proprio la Costituzione che risolve espressamente il problema con ben precise disposizioni, che presto vedremo. Per giunta la sentenza fa riferimento ai “beni comuni”, come individuati dalla Commissione Rodotà, dimenticando che quest’ultima parla dei “beni comuni”, ragionando (checché dica la relativa Relazione) in termini “patrimonialistici”, tanto è vero che lo schema di disegno di legge delega, che la Commissione propone, parla proprio di “proprietà privata” dei beni comuni, una proprietà privata che sarebbe “alienabile”, qualora i titolari siano singoli soggetti privati, e “inalienabile”, qualora siano titolari “Pubbliche Amministrazioni”.
Occorre, dunque, percorrere un’altra strada, tenendo presente che il messaggio di detta sentenza va comunque preso in considerazione, nel senso della assoluta necessità di trovare una sorta di “demanio”, i cui caratteri della inalienabilità, inusucapibilità e inespropriabilità abbiano un serio “fondamento” nella Costituzione, alla quale, peraltro, anche la citata sentenza della Cassazione fa esplicito riferimento.
Ed è subito da precisare che un attento esame dei principi e delle norme della Costituzione, e in particolare della loro genesi, porta senza dubbio alla “individuazione di un nuovo demanio”, al quale ben si attaglia la dizione di “demanio costituzionale”, ragionando proprio sul piano della “patrimonialità”, senza nessuna necessità di far ricorso al piano della “personalità”.
Al riguardo è necessario prendere le mosse dal “passaggio” dallo “Stato persona”, dello Statuto albertino, “soggetto singolo”, allo “Stato comunità” della vigente Costituzione repubblicana, che è un “soggetto plurimo”, individuabile nel “Popolo sovrano”.
Se si parte da questo presupposto “genetico”, si comprende agevolmente che, con la accennata mutazione della forma di Stato, si è mutata anche la “natura” del “rapporto proprietario” tra Stato e demanio. Nel primo caso, infatti, trattandosi di un soggetto singolo, il tipo dell’appartenenza dell’oggetto al soggetto è quello individualistico della “proprietà privata” (ed è per questo che i beni appartenenti al demanio civilistico possono essere “sdemanializzati”); nel secondo caso, invece, tale appartenenza assume la natura comunitaria della “proprietà pubblica”, come recita il primo comma, primo alinea, dell’art. 42 Cost., secondo il quale “la proprietà è pubblica e privata”, intendendosi per “proprietà pubblica”, come presto notò Massimo Severo Giannini, “la proprietà collettiva demaniale” del Popolo. Se la Cassazione avesse tenuto presente questo incipit dell’art. 42 Cost., certamente non si sarebbe sentita nella necessità di ricercare il carattere della demanialità nelle “esigenze del soggetto”, anziché nelle caratteristiche dell’oggetto.
Ed è inoltre da sottolineare che il primo comma dell’art. 42 Cost., ad una attenta lettura del testo, chiaramente precisa che esistono “beni fuori commercio”, appartenenti al Popolo a titolo di “proprietà pubblica”, e che sono definiti “inalienabili” (ciò che è di tutti non può essere dato a uno solo dei componenti il tutto), e beni “in commercio” (definiti dal primo comma dell’art. 42 “beni economici”), appartenenti a singoli a titolo di “proprietà privata”, come “lo Stato (considerato come Pubblica Amministrazione), gli enti e i privati”. Una ulteriore conferma del carattere “patrimoniale” del demanio.
In questo quadro non si può peraltro fare a meno di sottolineare che i beni in “proprietà pubblica demaniale” sono necessari per l’esistenza stessa della Comunità, e pertanto sono da considerare beni “costitutivi e identificativi” dello Stato comunità e che è per tale ragione che detti beni sono istituzionalmente affidati alla gestione e alla tutela da parte di Pubbliche Amministrazioni; gestione e tutela che, in via sussidiaria, possono essere partecipate anche da cittadini , singoli o associati, come ricorda l’ultimo comma dell’art. 118 Cost.
A questo punto il cerchio si chiude e si può agevolmente affermare che l’espressione “demanio costituzionale” coincide perfettamente con il significato che la sentenza in questione e l’immaginario collettivo attribuiscono all’espressione “beni comuni”. E si deve tener presente che il demanio costituzionale, costituito da tanti beni comuni, è una categoria aperta, nel senso che essa comprende anche quei beni che, nell’evoluzione dei tempi, siano da ritenere beni in “proprietà pubblica demaniale”.
Intanto è la stessa sentenza della Cassazione che ci indica quali beni sono certamente da ritenere in proprietà pubblica demaniale secondo la Costituzione. Sono i beni di cui all’art. 9 della Costituzione e cioè “il paesaggio e il patrimonio artistico e storico della Nazione” (che hanno insieme carattere costitutivo e identificativo dello Stato comunità), nonché i beni e i servizi indicati dall’art. 43 della Costituzione, e cioè ”i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia (gas, luce, acqua), le situazioni di monopolio e le industrie strategiche”, in pratica tutte le fonti “costitutive” della produzione economica del Paese.
Dopo quanto detto ci sembra incontrovertibile che il servizio pubblico dei taxi, come peraltro quello delle spiagge, fa parte del “demanio costituzionale”, e che, come tale, è un servizio inalienabile, che non può assolutamente essere posto a gara europea o internazionale.
La costruzione or ora descritta trova peraltro conferma in altri chiari articoli della Costituzione, che di seguito enumero.
Art. 1, che sancisce che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Dal che chiaramente si deduce che è assolutamente impossibile impoverire le fonti di produzione di ricchezza nazionale, poiché, così facendo, si eliminano posti di lavoro, come purtroppo da tempo sta avvenendo a causa del sistema economico predatorio, immorale, incivile e soprattutto incostituzionale del neoliberismo.
Art. 2 Cost. , secondo il quale ”La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Con la messa a gara dei servizi pubblici di taxi (ma anche degli altri tipi di servizi)si ledono diritti inviolabili dell’uomo, poiché svendendo parte delle fonti di ricchezza nazionale si preclude la via al soddisfacimento di tutti i “diritti sociali”, che presuppongono una spesa da parte dell’Amministrazione.
Art. 3 Cost., comma 2, secondo il quale “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza tra i cittadini, impediscono il pieno svolgimento della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. La svendita dei servizi pubblici dei taxi, che sono produttivi di profitto per la Comunità e di sostentamento delle famiglie, dà un colpo mortale alla stessa esistenza della Repubblica.
Art. 4 Cost., secondo il quale”La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. E’ fin troppo chiaro che la messa a gara del servizio dei taxi, anziché promuovere, distrugge le condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro.
Art. 16 Cost., secondo il quale “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale”. Non è chi non veda che questo diritto di circolazione viene limitato se il servizio dei taxi viene a dipendere dalla speculazione degli stranieri, piuttosto che dalle necessità dei cittadini italiani.
Art. 29 Cost., secondo il quale “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia”. E’ fin troppo evidente che, se si toglie a un padre di famiglia il lavoro di tassista, si finisce per distruggere i diritti anche della sua famiglia, che viene gettata sul lastrico, secondo i liberi voleri di chi vince la gara.
Art. 32 Cost., secondo il quale “La Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della Collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. E’ chiaro che se si svendono le fonti di produzione di ricchezza, come il servizio di taxi, si diminuiscono le entrate dello Stato e diventa sempre più problematico assicurare a tutti l’assistenza della sanità pubblica.
Art. 34 Cost., secondo il quale “La scuola è aperta a tutti … la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze”. E’ evidente che anche in questo caso valgono le considerazioni appena espresse.
Art. 38 Cost., secondo il quale “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. Anche qui valgono le considerazioni sopra espresse.
Art. 41 Cost., secondo il quale “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Questa previsione costituzionale, che esprime un “principio imperativo” inviolabile, è calpestata in pieno dalla messa a gara del servizio pubblico dei taxi, poiché pone in primo piano il profitto del concorrente e contrasta l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana. Pertanto è agevole dedurre che i danneggiati, e cioè i tassisti e i cittadini , singoli o associati, possono ricorrere al giudice per far dichiarare la nullità della messa a gara del servizio di taxi, ai sensi dell’art. 1418 del codice civile.
Art. 42 Cost., secondo il quale “La proprietà è pubblica e privata … la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge allo scopo di assicurare la funzione sociale”. E’ infatti evidente che la messa a gara del servizio pubblico di taxi, cancella la “funzione sociale” del servizio, facendolo diventare preda della speculazione economica e finanziaria.
Art. 43., secondo il quale “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente .. allo Stato, a Enti pubblici o a Comunità di lavoratori e di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali …”. Si tratta della norma che è violata in modo eclatante dalla messa in gara del servizio pubblico di taxi, che è annoverato tra quei servizi essenziali che devono essere in mano pubblica o di Comunità di lavoratori o di utenti e non sono idonei a essere messi a gara. Una norma più diretta e precisa di questa non poteva esserci.
Come si nota, la messa a gara del servizio taxi viola in pratica quasi tutta la Costituzione.
Terminiamo qui la nostra elencazione, la quale, lo si creda, potrebbe continuare a lungo. Si pensi all’obbligo di chi è investito da pubbliche funzioni di agire con discipline e onore nell’interesse pubblico, al giuramento dei pubblici dipendenti e così via dicendo.
Ed è da rilevare, infine, che nessun argomento può trarsi dal fatto che il “diritto derivato europeo”, e cioè la “Direttiva Bolkestein”, prevede la messa in gara di tale servizio, poiché il “diritto europeo”, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, non può prevalere sui principi e sui diritti fondamentali sanciti in Costituzione. Se così non fosse, dovremmo ritenere che, firmando i Trattati europei, l’Italia ha assentito anche alla svendita delle sue fonti di produzione di ricchezza, e quindi alla sua auto distruzione. Il che è anche logicamente inammissibile.