Di Vincenzo De Michele
LA SENTENZA SIIB DELLA CORTE UE E L’ORDINANZA DI RINVIO PREGIUDIZIALE DEL GIUDICE DI PACE DI RIMINI
- Ad interrompere bruscamente gli spettacoli del Consiglio di Stato sull’interpretazione della normativa Ue in materia di concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative (d’ora innanzi, CDM) sono intervenute in rapida successione l’ordinanza di rinvio pregiudiziale Ue del 26 giugno 2024 in causa C-464/24 e la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione dell’11 luglio 2024 nella causa C-598/22 Società Italiana Imprese Balneari srl (EU:C:2024:597, d’ora innanzi, sentenza SIIB), con l’inusuale presenza nel Collegio a cinque della III Sezione del Presidente della Corte Ue, il belga Koen Lenaerts.
- Come più volte sottolineato e contrariamente alla comune opinione non sostenuta da alcun serio orientamento dottrinale se non da petizioni di principio della Commissione Ue e del Consiglio di Stato, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia Ue [sentenza Promoimpresa e Melis del 16 luglio 2016 nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15 (EU:C:2016:558), d’ora innanzi sentenza Promoimpresa); sentenza “Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Commune de Ginosa)” della Corte del 20 aprile 2023 in causa C-348/22 (EU:C:2023:301)] è possibile ricavare argomenti convergenti nella direzione di escludere le CDM dal campo di applicazione della direttiva 2006/123/CE, la c.d. direttiva Bolkestein.
- Non a caso, nella recente sentenza SIIB della Corte Ue può agevolmente ricavarsi una risposta anticipata e positiva ai quattro quesiti proposti dal Giudice di pace di Rimini nella commentata ordinanza di rinvio pregiudiziale, a conferma della sostanziale deviazione interpretativa e della non (corretta) applicazione della giurisprudenza comunitaria in subiecta materia nelle decisioni del Consiglio di Stato e nella procedura di infrazione della Commissione Ue conclusa dal parere motivato del 16 novembre 2023, ma anche la correzione di incertezze argomentative sul diritto dell’Unione da parte della Corte Ue nella sentenza SIIB sia rispetto alla sentenza Promoimpresa sia rispetto alla sentenza AGCM, salvo poi ricadere, a sua volta, in contraddizioni ed errori inspiegabili sulla ricognizione della corretta normativa interna.
- Si premette che le argomentazioni di chi scrive non sono il frutto di fantasie personali ma, da due anni, le riflessioni di un giurista che è partito, condividendola, dall’analisi sistematica della materia proposta da uno dei più autorevoli studiosi italiani di diritto dell’Unione – il prof. Massimo Condinanzi – nella risposta del 4 febbraio 2021 a sua firma che il Governo italiano ha fornito alla Commissione Ue che ha attivato, in piena emergenza Covid 19, la procedura di infrazione INFR(2020) 4118 con la lettera di messa in mora del 3 dicembre 2020. Dal 7 ottobre 2024 il prof. Massimo Condinanzi sarà il nuovo Giudice italiano in Corte di giustizia Ue al posto della prof.ssa Lucia Serena Rossi.
- Né il delirio mediatico e il caos interpretativo in danno dei concessionari balneari provocato dalle sconcertanti e spesso contradditorie sentenze del Consiglio di Stato può essere giustificato o avallato dal parere motivato INFR(2020)4118 del 16 novembre 2023 della Commissione Ue, che, diversamente da quello che ritiene l’analfabetica vulgata dei giornali nazionali, non ha nessun valore giuridico trattandosi di atto ispettivo nell’ambito della procedura di infrazione rivolta unicamente allo Stato italiano.
- Anzi, la immediata diffusione mediatica dei testi integrali sia della lettera di messa in mora del 3.12.2020 sia del parere motivato del 16 novembre 2023 (che era stato preannunciato da pubblicare addirittura il 19 aprile 2023, il giorno prima della pubblicazione della sentenza AGCM della Corte di giustizia) della procedura di infrazione contro i diritti dei balneari costituisce gravissima e ingiustificabile deroga, senza esplicitarne le ragioni di interesse pubblico, all’art.4 comma 2 del Regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, che impone la costante prassi della riservatezza dell’azione della Commissione Ue in tutte le procedure di infrazione nei confronti degli Stati membri (cfr. sul divieto di divulgazione degli atti della procedura di infrazione n.2016/4081 avviata dalla Commissione Ue sulle condizioni di lavoro della magistratura onoraria, la sentenza del Tribunale dell’Unione del 20 marzo 2024 nella causa T-261/23, EU:T:2024:194).
- L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nelle due sentenze del 2021 aveva il dovere etico e giuridico, come organo giurisdizionale di chi è preposto fondamentalmente alla funzione di consulente dello Stato (Governo e Parlamento), di analizzare la risposta del Governo italiano del prof. Condinanzi alla lettera di messa in mora del 3 dicembre 2020 della Commissione Ue e non di nasconderla, come se non esistesse, dando ampio spazio alle sciocchezze scritte da funzionari della Von der Leyen, nominata per un secondo mandato quinquennale come Presidente della Commissione Ue dopo la notizia dell’inchiesta giudiziaria aperta (già dal 2022) prima dalla Procura di Bruxelles e poi dalla Procura europea (l’EPPO: European Public Prosecutor’s Office) sul caso “Pfizergate”, sulla condotta della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ai tempi dell’acquisto dei vaccini durante la pandemia di coronavirus nel 2020.
- Come è noto, oggetto dell’indagine sono alcuni contatti informali avvenuti tramite sms tra von der Leyen e l’amministratore delegato del colosso farmaceutico Pfizer, Albert Bourla, prima della maxi-commessa di vaccini contro il Covid. Quelle trattative informali avrebbero contribuito alla stesura di un contratto da 1,8 miliardi di dosi di vaccino per i 27 Stati membri, il più grande appalto mai concluso dall’Unione europea. Secondo il lobbista denunciante Baldan, durante la pandemia von der Leyen avrebbe agito al di fuori dei trattati Ue e al di là del suo mandato per conto degli Stati membri, compreso il Belgio, mentre negoziava i contratti per i vaccini.
- Una qualche conferma della fondatezza dell’indagine penale a carico della Von der Leyen, ora nuovamente seppellita definitivamente dall’immunità diplomatica assoluta conseguente alla non auspicata rielezione, e della opacità dell’azione amministrativa della Commissione Ue da lei presieduta durante il primo disastroso mandato, riviene dalla sentenza del Tribunale dell’Unione – V Sezione del 17 luglio 2024 nella causa T-689/21 Auken ed altri (EU:T:2024:476).
- La Corte Ue di primo grado ha annullato la decisione C(2022) 1038 final della Commissione europea, del 15 febbraio 2022, nella parte in cui la Commissione ha negato un più ampio accesso, in primo luogo, alle definizioni delle espressioni «dolo» (wilful misconduct) nell’accordo preliminare di acquisto stipulato tra essa e AstraZeneca e «ogni ragionevole sforzo» nell’accordo preliminare di acquisto stipulato tra la Commissione e Pfizer-BioNTech e nel contratto di acquisto stipulato tra la Commissione e Pfizer-BioNTech, in secondo luogo, alle clausole relative alle donazioni e alle rivendite e, in terzo luogo, alle clausole relative all’indennizzo negli accordi preliminari di acquisto e nei contratti di acquisto stipulati tra essa e le società farmaceutiche interessate per l’acquisto di vaccini contro la COVID-19 sulla base dell’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento (CE) n. 1049/2001, la stessa norma regolamentare violata dalla Commissione Ue nel caso dei balneari per la divulgazione non autorizzata del parere motivato del 16 novembre 2023.
- Infatti, non a caso il tema nazionale delle concessioni balneari ha costituito oggetto del braccio di ferro tra la Von der Leyen e il Governo Meloni ai fini del sostegno o meno alla ricandidatura della Presidente della Commissione.
LA COMPETENZA DEL GIUDICE ORDINARIO IN MATERIA DI LEGITTIMA OCCUPAZIONE DI SUOLO DEMANIALE E DI CANONI
- Ebbene, il problema che emerge prepotentemente e per la prima volta nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Giudice di pace di Rimini è quale sia la giurisdizione nazionale competente in materia di diritti relativi all’utilizzo delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative.
- Il Giudice di pace di Rimini, nel momento in cui ha chiesto chiarimenti con quattro quesiti pregiudiziali mai sottoposti all’attenzione della Corte di giustizia Ue nei quattro precedenti giudizi incidentali (cause Promoimpresa e Melis, AGCM e SIIB), non solo non ha condiviso la posizione dell’organo supremo di giustizia amministrativa sulla disapplicazione della normativa interna che dapprima prevedeva la proroga legislativa delle concessioni balneari fino al 31.12.2033 (art.1 commi 682-683 della legge n.145/2018) ed attualmente ne dispone la durata indeterminata (art.3 commi 1 e 3 e art.4 comma 4-bis della legge n.118/2022; art.10 comma 4-bis del d.l. n.198/2022, convertito dalla legge n.14/2023), ma ha anche affermato la competenza esclusiva del giudice ordinario sul sinallagma funzionale e sui diritti dei concessionari balneari, e non della giustizia amministrativa.
- Il GdP di Rimini nel rinvio pregiudiziale ha ricordato che la materia degli indennizzi e dei canoni legati all’uso di demanio pubblico in concessione è sottratta alla G.A., ai sensi dell’art.133 comma 1 lettera b) del codice del processo amministrativo, che affida alla giurisdizione esclusiva amministrativa soltanto «le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche».
- Il Giudice di pace del nuovo rinvio pregiudiziale ha precisato alla Corte comunitaria che nell’ordinanza interlocutoria della Suprema Corte di Cassazione n.28566/2023, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale decisa dalla Corte costituzionale con la sentenza n.70/2024, sono analiticamente affrontate le problematiche sul riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario in subiecta materia. Secondo la Cassazione nell’ordinanza n.28566/2023, l’indennizzo di cui all’art.1 comma 257 della legge n.296/2006 o quello di cui all’art.8 del d.l. n.400/1993, in quanto attribuzione patrimoniale comunque sottratta al potere di intervento discrezionale dell’Amministrazione, non ha neanche natura di sanzione amministrativa, sulla scorta di una giurisprudenza consolidata in tema di pagamento del canone derivante da rapporto concessorio, secondo cui «l’occupazione generica di suolo pubblico rientra pienamente nella tipologia di prestazione per la quale l’utilizzatore è tenuto al pagamento di una prestazione pecuniaria legata ad un rapporto che esplica effetti di natura privatistica, posto che la natura pubblica del suolo occupato non incide sulla qualificazione del rapporto instaurato.». In definitiva, secondo la Cassazione, «si tratta pur sempre di controversie relative alla fase esecutiva del rapporto, successiva all’aggiudicazione della concessione di bene (come di servizio) pubblico.».
- Quindi, a rigore, anche la disciplina delle proroghe legislative delle CDM, che riguarda il sinallagma funzionale e non quello genetico del rapporto concessorio di beni pubblici, sarebbe sottratta alla competenza del giudice amministrativo e, quindi, l’interventismo del Consiglio di Stato nel sanzionare con l’illegittimità “comunitaria” (cioè con la disapplicazione) risponde esclusivamente ad esigenze politiche senza un serio fondamento giuridico soprattutto sotto il profilo ordinamentale e del rispetto dello Stato di diritto.
I FATTI DELLA CAUSA SIIB DECISA DALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE
- Venendo ai fatti delle due cause davanti al Giudice di pace di Rimini del rinvio pregiudiziale appena proposto e davanti al Consiglio di Stato del rinvio pregiudiziale, scopriamo che, alla luce delle coordinate sul riparto di competenze tra giudice ordinario e giudice amministrativo innanzi delineate in materia di concessioni di beni pubblici (cfr. in termini in materia di concessione per estrazione del marmo l’ordinanza n.6377 del 16.7.2024 del Consiglio di Stato), anche la causa principale pendente davanti al Consiglio di Stato dopo la decisione della Corte di giustizia con la sentenza SIIB appare rientrare nella competenza esclusiva del GO.
- La Corte di giustizia ai punti 7-12 della sentenza SIIB ha compiutamente ricostruito i fatti di una causa che avrebbe dovuto essere trattata dal Tribunale civile di Livorno e non dal TAR Toscana.
- In particolare, dal 1928 la SIIB gestisce, senza soluzione di continuità, sul territorio del Comune di Rosignano Marittimo, uno stabilimento balneare situato per la maggior parte sul demanio pubblico marittimo. La SIIB asserisce di aver legittimamente costruito su tale parcella una serie di opere, una parte delle quali è stata oggetto di un testimoniale di stato nel corso dell’anno 1958. Altre costruzioni sono state realizzate successivamente, tra l’anno 1964 e l’anno 1995. Con decisione del 20 novembre 2007, il Comune di Rosignano Marittimo ha classificato tra le pertinenze del demanio pubblico marittimo varie opere insistenti sulla superficie demaniale e considerate di difficile rimozione. Queste ultime sarebbero state acquisite ex lege dal Comune alla scadenza della concessione n. 36/2002, che copriva il periodo dal 1° gennaio 1999 al 31 dicembre 2002 e che è stata rinnovata, fino al 31 dicembre 2008, mediante la concessione n. 27/2003.
- Il 23 settembre 2008, il Comune di Rosignano Marittimo ha notificato alla SIIB l’avvio del procedimento di incameramento delle pertinenze del demanio pubblico non ancora acquisite, senza però portarlo a termine. Esso ha poi rilasciato a detta società la concessione demaniale marittima n. 181/2009, valida per una durata di sei anni, dal 1° gennaio 2009 al 31 dicembre 2014. Invocando l’art.1 del decreto del Presidente della Giunta regionale della Toscana del 24 settembre 2013 n. 52/R, la SIIB ha presentato una dichiarazione secondo cui tutte le opere incidenti sull’area demaniale potevano essere rimosse in 90 giorni, sicché esse dovevano essere considerate come di facile rimozione. Il Comune ha riconosciuto tale qualifica alle opere in questione in una decisione del 3 febbraio 2014, per poi revocarla, con una decisione del 26 novembre 2014, con la motivazione che sull’area demaniale data in concessione incidevano beni già acquisiti dallo Stato in virtù dell’art.49 del codice della navigazione.
- La SIIB ha contestato quest’ultima decisione dinanzi al TAR Toscana. Con determinazione del 16 aprile 2015 il Comune ha ribadito che i fabbricati presenti sull’area demaniale in concessione erano pertinenze del demanio pubblico. Esso ha di conseguenza applicato un canone maggiorato per il periodo dall’anno 2009 all’anno 2015, in applicazione dell’art.1, comma 251, della legge 296/2006. Con altri atti, il Comune ha fissato gli importi dovuti per gli anni successivi. La SIIB ha impugnato anche queste rideterminazioni del canone davanti al TAR Toscana, che ha respinto tutti i ricorsi con sentenza del 10 marzo 2021, contro la quale la SIIB ha interposto appello dinanzi al Consiglio di Stato.
- Il Consiglio di Stato con l’ordinanza del 15.9.2022 n.8010 nella causa C-598/22 SIIB appare ben consapevole della precedente sentenza n.292/2022 in cui il CdS aveva correttamente sostenuto la non applicabilità alle concessioni demaniali marittime iniziate prima del 28.12.2009 della direttiva servizi, ha affrontato il problema della compatibilità comunitaria rispetto ai soli artt.49 e 56 TFUE (e non con l’art.12 paragrafo 1 della direttiva Bolkestein) della norma interna dell’art.49 cod.nav., che, con l’incamerazione allo Stato delle opere non amovibili in caso di cessazione del titolo concessorio per scadenza (viceversa l’indennizzo a carico dello Stato è previsto dall’art.42 comma 4 cod.nav. in caso di revoca anticipata per ragioni pubbliche), non consente al concessionario uscente di ricevere nessun indennizzo.
- La questione pregiudiziale appariva palesemente inammissibile e la III Sezione della Corte di giustizia, dopo il nuovo intervento normativo con la legge n.14/2023 di conversione del decreto legge milleproroghe n.198/2022 e dopo la sentenza AGCM della Corte Ue, ha formulato al Consiglio di Stato una richiesta di chiarimenti in data 17.7.2023, che disvelano l’assenza dei presupposti per una risposta interpretativa comunitaria utile per la soluzione della controversia e, dal punto di vista del riparto di competenza giurisdizionale, l’incompetenza del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, trattandosi di canoni maggiorati (arbitrariamente) dal Comune di Rosignano Marittimo sulla base del presupposto della scadenza del titolo concessorio che, invece, era stato rinnovato senza soluzione di continuità in base all’art.01 comma 2 del d.l. n.400/1993, convertito con modificazioni dalla legge n.494/1993.
L’INAMMISSIBILITA’ SOSTANZIALE DELLA QUESTIONE PREGIUDIZIALE SIIB DEL CONSIGLIO DI STATO E LA COMPETENZA DEL GO
- Infatti, l’art.01 comma 2 del d.l. n.400/1993, nel testo modificato dall’art.10 comma 1 della legge n.88/2001, vigente ratione temporis dal 18 aprile 2001 fino al 16 gennaio 2012 ha previsto il rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime in essere di sei anni in sei anni, salvo la revoca di cui all’art.42 cod.nav., per cui i rinnovi di concessione della SIIB dal 1.1.2003 al 31.12.2008 e dal 1.1.2009 al 31.12.2004 non avrebbero mai potuto costituire nuovi titoli concessori come stabilito dal Comune di Rosignano (prassi che non è stata seguita dalla gran parte dei Comuni costieri), ma semplici rinnovi automatici di 6 anni in 6 anni dello stesso titolo concessorio sulla base di specifica disposizione di legge.
- Come evidenziato al punto 16 della sentenza SIIB della Corte Ue, con l’ordinanza del 6.9.2023 n.8184 il Consiglio di Stato ha risposto ai chiarimenti richiesti dalla Corte di giustizia e ha evidenziato, per evitare l’inammissibilità della questione, che l’art.49 cod.nav. viene interpretato dalla giurisprudenza amministrativa nel senso che l’acquisizione dei beni da parte dello Stato si produrrebbe automaticamente alla scadenza della concessione, anche in caso di rinnovo di quest’ultima, dal momento che tale rinnovo determinerebbe un’interruzione della continuità tra i titoli di occupazione del demanio pubblico. Invece, in caso di proroga della concessione prima della sua normale scadenza, secondo il CdS, le opere realizzate dai concessionari sul demanio pubblico resterebbero di proprietà privata esclusiva del concessionario fino alla scadenza effettiva o alla revoca anticipata della concessione e nessun canone sarebbe dovuto per quanto riguarda tali opere.
- Inoltre, al punto 21 della sentenza SIIB della Corte Ue è evidenziato che con l’ordinanza di chiarimenti n.8184/2023 il Consiglio di Stato ha comunicato che la SIIB conservava un interesse ad agire contro l’incameramento al demanio pubblico marittimo dello Stato dei beni non amovibili che essa aveva costruito su quest’ultimo, che essa poteva segnatamente far valere in occasione di un ricorso contro la decisione del concedente che le imponeva il pagamento di canoni maggiorati. Il giudice del rinvio ha altresì precisato che la devoluzione al patrimonio dello Stato della proprietà di tali opere interviene automaticamente alla scadenza della concessione di occupazione demaniale. L’eventuale constatazione, in via amministrativa o giurisdizionale, del diritto di proprietà dello Stato su tali opere avrebbe carattere meramente dichiarativo e autorizzerebbe il concedente a maggiorare l’importo del canone.
- La posizione del Consiglio di Stato è manifestamente contraddittoria, perché ammettendo come giurisprudenza consolidata che alla scadenza della concessione la constatazione del diritto di proprietà dello Stato sulle opere non amovibili abbia carattere meramente dichiarativo con corrispondente diritto del Comune, per conto del demanio statale, a pretendere le maggiorazioni del canone sulle pertinenze demaniali, la SIIB non avrebbe “automaticamente” alcun interesse ad un ricorso per contestare il presupposto del pagamento di canoni maggiorati, se non rivolgendosi all’unico giudice competente in materia, il giudice ordinario.
- In buona sostanza, anche da queste contraddizioni dell’ordinanza n.8184/2023 del Consiglio di Stato si ricava che, come sulle proroghe legislative delle CDM, in materia di rinnovi automatici legislativi di cui all’art.01 comma 2 d.l. n.400/1993 dal 18 aprile 2001 fino al 16 gennaio 2012 la competenza è e rimane esclusivamente in capo al GIUDICE ORDINARIO, trattandosi di diritti soggettivi legati al sinallagma funzionale, alla legittima (o illegittima) occupazione di suolo demaniale e alla determinazione dei corrispondenti canoni, non essendo peraltro l’originario titolo concessorio rinnovato o prorogato per legge nazionale mai arrivato a scadenza.
- Recentemente, inoltre, la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni unite con la sentenza del 28.1.2021 n.2015 ha ribadito il suo consolidato orientamento, in base al quale «Nel caso in cui la P.A. emetta ordinanza di rilascio di un immobile, sul presupposto della sua appartenenza al demanio, ed il privato occupante insorga avverso tale ordinanza, al fine di sentire negare la demanialità ed accertare il proprio diritto di proprietà, la relativa controversia spetta alla cognizione del giudice ordinario, in quanto non investe vizi dell’atto amministrativo, ma si esaurisce nell’indagine sulla titolarità della proprietà e, quindi, è rivolta alla tutela di posizioni di diritto soggettivo. Nè assume rilievo che la causa verta anche sulla natura demaniale o meno del bene o sulla sua estensione, trattandosi di carattere che consegue direttamente dalla legge e non postula l’emanazione di atti amministrativi (cfr., tra le altre, Cass. SU ord. 9 settembre 2013, n. 20596; Cass. SU 15 marzo 2012, n. 4127).».
- A tal proposito va segnalato che il Consiglio di Stato – VII Sezione con due ordinanze nn.6376 e 6377 del 16 luglio 2024 ha confermato la decisione del TAR Toscana, che aveva sospeso pregiudizialmente ai sensi degli artt.79 c.p.a. e 285 c.p.c. due giudizi in cui si controverteva di atti amministrativi comunali e di legge regionale, impugnati da due concessionari di cave per l’estrazione di marmo nel Comune di Carrara, che avevano ridotto al 31.10.2023 l’originario termine di durata indeterminata delle concessioni di cava quale “diritto di livello perpetuo e/o enfiteusi perpetua quale diritto reale di godimento”, in pendenza del giudizio davanti al giudice ordinario per il riconoscimento del diritto.
- Ai sensi dell’art.133 comma 1 n.2) c.p.a., in fattispecie sovrapponibili a quella delle concessioni balneari (che in verità hanno anche la durata indeterminata espressamente prevista dal legislatore nazionale e confermata dalla Commissione Ue nel parere motivato del 16.11.2023, senza legislazione regionale che possa incidere sulla durata), il Consiglio di Stato ha riconosciuto che la questione dell’esistenza del “diritto di livello” davanti al Tribunale civile è pregiudiziale rispetto alla decisione della domanda di annullamento degli atti comunali proposta innanzi al T.A.R.: la qualificazione della situazione giuridica soggettiva di cui la società sostiene di essere titolare assume, infatti, rilevanza centrale ai fini del thema decidendum devoluto al giudice amministrativo attraverso il ricorso introduttivo, avente ad oggetto la legittimità delle disposizioni del Regolamento che su tali situazioni avrebbero inciso, determinandone la decadenza.
- Inoltre, per quanto riguarda il rapporto concessorio della SIIB sottoposto all’attenzione della Corte Ue, esso era iniziato in periodo antecedente al 28.12.2009 (dal 1928) e l’ultima “contestata” devoluzione delle opere non amovibili al demanio marittimo è avvenuta nel 2008, per cui al quarto quesito della Corte di giustizia nella richiesta di chiarimenti («Se la devoluzione al demanio marittimo è intervenuta dopo il 28 dicembre 2009, nella presente causa è applicabile la direttiva 2006/1233. Il giudice del rinvio è allora invitato a indicare le disposizioni di tale direttiva che gli sembrino pertinenti nell’ambito del procedimento principale») il Consiglio di Stato ha confermato il fatto che la devoluzione è avvenuta prima del 28 dicembre 2009, con conseguente non applicazione della direttiva Bolkestein ai sensi dell’art.44 della stessa direttiva servizi.
- Il Consiglio di Stato con la sentenza del 20 maggio 2024 n.4479, nel decidere in sede di riassunzione il giudizio in cui vi era stata la pronuncia n.18/2021 dell’Adunanza plenaria cassata con rinvio dalla sentenza n.32559/2023 delle Sezioni unite, in riferimento alla sola problematica della scarsità o meno della risorsa naturale (e non delle CDM ante 28.12.2009) ha ribadito che, se anche non fosse applicabile l’art.12 della direttiva 2006/123/CE, sarebbe comunque invocabile l’art.49 TFUE: «19. In ogni caso, rileva ancora il Collegio, quando pure l’autorità amministrativa competente, sulla scorta di quanto appena precisato al § 17.5. e sotto il controllo dell’autorità giurisdizionale, ritenga non applicabile l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE che, come ha ricordato la Corte, già provvede a un’armonizzazione esaustiva concernente i servizi che rientrano nel suo campo di applicazione (Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, Promoimpresa, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 61), deve comunque trovare applicazione l’art. 49 del T.F.U.E. sulla libertà di stabilimento, laddove la singola concessione presenti un interesse transfrontaliero certo. 19.1. A tale riguardo, infatti, non può sottacersi che, qualora siffatta concessione riguardi in alcuni limitati e circoscritti casi una risorsa legittimamente ritenuta non scarsa ma presenti un interesse transfrontaliero certo, la sua assegnazione in totale assenza di trasparenza ad un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate alla suddetta concessione e una siffatta disparità di trattamento è, in linea di principio, vietata dall’articolo 49 del T.F.U.E.».
LE CONTRADDIZIONI NELLA GIURISPRUDENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
- Resta un mistero questo privilegio che il Consiglio di Stato vuole a tutti i costi concedere alle multinazionali di imporre la scadenza delle CDM al 31.12.2023 e la sostituzione delle imprese italiane balneari con altre “comunitarie” con sede in altri Stati Ue, ritenute già nelle due sentenze nn.17 e 18 del 2021 dell’Adunanza plenaria come le più idonee a rilanciare il settore per nuovi investimenti che gli attuali concessionari non sarebbero più in grado di effettuare, per ragioni macroeconomiche mai esplicitate dal massimo organo di giustizia amministrativa e che rimangono, come l’applicazione dell’art.49 TFUE ai fini della scadenza immediata iussu iudicis delle concessioni, nell’immaginario politico e non giuridico di chi decide per tutti e sostituendosi a tutti senza averne alcuna competenza, neanche giurisdizionale.
- Non a caso nella sentenza del 20 maggio 2024 n.4479 il Consiglio di Stato ha escluso la rilevanza sulla durata delle concessioni balneari della problematica dell’indennizzo escluso dall’art.49 cod.nav., che sarebbe stata decisa dalla sentenza SIIB della Corte di giustizia, nonostante l’indennizzo sia stato previsto dall’Adunanza plenaria, richiamando il punto 72 della sentenza Promoimpresa della Corte Ue: «L’indizione di procedure competitive per l’assegnazione delle concessioni dovrà, pertanto, ove ne ricorrano i presupposti, essere supportata dal riconoscimento di un indennizzo a tutela degli eventuali investimenti effettuati dai concessionari uscenti, essendo tale meccanismo indispensabile per tutelare l’affidamento degli stessi.».
- Lo stesso legislatore nazionale aveva previsto all’art.4 comma 2 lettera i) della legge n.118/2022 il decreto legislativo per la «definizione di criteri uniformi per la quantificazione dell’indennizzo da riconoscere al concessionario uscente, posto a carico del concessionario subentrante», mai adottato per scadenza della delega al 27 febbraio 2023, uniformandosi ai dicta dell’Adunanza plenaria.
- Tuttavia, la posizione dell’Adunanza plenaria (e quindi dell’art.4 comma 2 lettera i della legge n.118/2022) e del Consiglio di Stato come giudice del rinvio pregiudiziale sull’indennizzo appare in clamoroso contrasto con l’art.12 paragrafo 2 della direttiva 2007/123/CE, ove applicabile: «2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.».
- Ne consegue che sarebbe più corretto, per evitare i pasticci e il caos di questi giorni che rappresentano una delle pagine più vergognose di diniego di tutela dei nostri operatori economici balneari da parte di tutte le Istituzioni nazionali coinvolte (in primis, il Governo che con la sua inerzia ha lasciato Comuni e Regioni nell’incertezza più assoluta sul da farsi), che la Bolkestein e il diritto primario dell’Unione fossero stati accantonati dal Consiglio di Stato di fronte all’evidente inadeguatezza interpretativa del diritto Ue dimostrata dal supremo organo di giustizia amministrativa, che con la sentenza n.4479/2024 si è anche rifiutato, violando l’art.267 paragrafo 3 del TFUE, di accogliere come Giudice di ultimo grado le istanze di rinvio pregiudiziale Ue proposte da uno dei balneari intervenuti, tacendone addirittura sull’esistenza nella motivazione della non egregia decisione.
- Quei quesiti di cui il Consiglio di Stato, all’esito dell’udienza del 7 maggio 2024 nella causa riveniente dalla riforma della sentenza n.18/2021 della Plenaria da parte delle Sezioni unite, ha negato l’esistenza – nonostante la discussione sul punto in udienza sia durata circa 20 minuti con la precisazione del Presidente Chieppa che sull’intervento del concessionario di Rimini che aveva proposto i quesiti pregiudiziali il Collegio avrebbe valutato l’inammissibilità, poi abbandonata a favore dell’antigiuridico silenzio – nella motivazione della sentenza n.4479/2024 sono stati invece accolti dal Giudice (ordinario) di pace di Rimini con l’ordinanza del 26 giugno 2024.
I FATTI DI CAUSA DAVANTI AL GIUDICE DI PACE DI RIMINI
- La causa civile davanti al Giudice di pace di Rimini è stata instaurata da un concessionario balneare di Rimini con titolo concessorio assegnato prima del 28 dicembre 2009, esattamente come per il concessionario di Rosignano Marittimo nella causa decisa dalla Corte di giustizia con la sentenza SIIB.
- Il Comune di Rimini con deliberazione di Giunta comunale del 22.12.2023 n.504 ha inteso “applicare”, come molti Comuni anche su indicazione dell’ANCI e sulle sollecitazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), le due sentenze nn.17 e 18 del 9 novembre 2021 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che hanno fissato al 31 dicembre 2023 (disapplicando l’originaria scadenza al 31.12.2033 della durata delle CDM fissata dall’art.1 commi 683-683 della legge n.118/2022) il termine di scadenza di tutte le concessioni balneari insistenti sul territorio comunale ma di proprietà del demanio statale, salvo una proroga tecnica dapprima fino al 31.9.2024 poi estesa al 31.12.2024 per consentire al Comune concedente di espletare gare per assegnazione ad altri titolari delle nuove concessioni.
- In precedenza, è stata approvata la deliberazione della Giunta comunale di Rimini n.465 del 12.12.2023 avente ad oggetto l’avvio del procedura di approvazione del Piano dell’Arenile, completata con deliberazione di consiglio comunale del 13 giugno 2024 n.47, che presuppone il successivo atto di indirizzo di cui alla deliberazione n.504/2023 e la cessazione della durata delle concessioni demaniali marittime alla data indicata dalla giustizia amministrativa del 31.12.2023, al fine di consentire la ridefinizione delle aree del demanio marittimo di competenza del Comune di Rimini.
- La Società ricorrente, unitamente ad altri n.24 concessionari balneari, ha impugnato davanti al TAR Bologna le due delibere giuntali n.504/2023 e n.465/2023 del Comune di Rimini per chiederne la declaratoria di nullità e/o illegittimità per contrasto con il diritto dell’Unione, con la Costituzione nazionale e con le norme ordinarie, nonché per l’accertamento del diritto a continuare ad utilizzare i beni demaniali legittimamente concessi a tempo indeterminato, salvo il legittimo potere di revoca o di decadenza previsti dal codice della navigazione, o comunque fino al 31 dicembre 2033 come da legittimi atti ricognitivi rilasciati dallo stesso Comune.
- Nel giudizio davanti al TAR Bologna si è costituito in giudizio il Comune di Rimini sostenendo che il ricorso proposto dai n.25 concessionari demaniali marittimi avverso in particolare la delibera di Giunta n.504/2023 era inammissibile, in quanto non si trattava di un provvedimento amministrativo che incideva sui diritti dei ricorrenti ma di un mero atto di indirizzo, non avente nessuna efficacia e frutto soltanto della ricognizione della normativa applicabile al settore che, secondo l’Ente comunale resistente, prevedeva la cessazione della durata delle concessioni balneari alla data del 31.12.2023 in base alle sentenze nn.17 e 18 del 2021 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e all’art.3 commi 1 e 3 della legge n.118/2022, nel testo previgente le modifiche introdotte dalla legge n.14/2023.
- Con l’ordinanza cautelare del 15.3.2024 n.86/2024 la II Sezione del TAR Bologna sembrerebbe aver dato credito alla tesi dei ricorrenti concessionari, tra cui la società istante, della durata indeterminata delle CDM, rigettando la domanda cautelare per la inidoneità della delibera giuntale ad incidere sui diritti soggetti maturati dai concessionari per quanto riguarda la durata del titolo concessorio.
- Tuttavia, poiché il Comune di Rimini intendeva comunque insistere nella sua attività amministrativa contra legem, pubblicando un piano dell’arenile fondato su un dato normativo inesistente quale quello riportato nella delibera n.504/2023 della cessazione delle concessioni balneari al 31.12.2023 e bandendo le gare sulla base dello stesso piano dell’arenile, la società ricorrente ha richiesto il ristoro dei danni non patrimoniali da questa assurda situazione di incertezza determinata dal Comune di Rimini, con la minaccia dell’esproprio senza precedenti con decorrenza dal 1.10.2024 della propria azienda con la sua proprietà immobiliare, per la pretesa illegittimità dell’azione dell’amministrazione comunale che si sarebbe sostituita sia allo Stato come Governo e legittimo proprietario del demanio marittimo in questione, che ne incassa i canoni determinati da disposizioni di legge, sia al legislatore che avrebbe delineato un quadro giuridico (ora) conforme al diritto dell’Unione e alla Costituzione nazionale. I danni non patrimoniali all’immagine e alla continuità aziendale causati dal Comune sono stati quantificati, per difetto, in via equitativa nella misura di € 5.000,00, salvo diversa maggiore o inferiore quantificazione da parte del giudice adito entro i limiti della propria competenza per valore.
- Acclarata la giurisdizione del giudice ordinario, il GdP di Rimini ha ritenuto opportuno fare alcune considerazioni sulla necessità, ai fini della soluzione della controversia, di chiedere chiarimenti alla Corte di giustizia in una materia in cui, evidentemente, l’applicazione diretta del diritto dell’Unione ha costituito il principale punto di discussione di una situazione regolativa della durata delle concessioni demaniali marittime per uso turistico-ricreativo che ha visto coinvolte le Istituzioni Ue e quelle nazionali a livello legislativo, esecutivo e giurisdizionali, con evidenti contrasti interpretativi e normativi.
- Nel merito, il Comune di Rimini resistente ha ribadito la legittimità dell’azione amministrativa e si è opposto al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue, essendo ormai acclarata dalle due sentenze della Corte di giustizia Promoimpresa e AGCM la diretta applicazione alle concessioni demaniali marittime dell’art.12 della direttiva 2006/123/CE. Effettivamente, l’azione amministrativa del Comune di Rimini è coerente con le indicazioni imposte a tutte le pubbliche amministrazioni dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nelle due sentenze nn.17 e 18 del 2021 e ribadite dallo stesso massimo organo di giustizia amministrativa nella giurisprudenza successiva.
LE MOTIVAZIONI DEL RINVIO PREGIUDIZIALE DEL GDP DI RIMINI
- Il Giudice di pace di Rimini ritiene che i principi enunciati dal Consiglio di Stato non abbiano valore giuridico né facciano nascere alcun obbligo di applicarli nella presente controversia o in altre dello stesso tipo né appartengono alla tradizione costituzionale della giurisprudenza amministrativa e di quella ordinaria, incline, come questo giudice, ad applicare le leggi dello Stato e, in caso di sospetto di illegittimità costituzionale o di contrarietà al diritto dell’Unione europea della norma statale da applicare, a sollevare questione di legittimità costituzionale o promuovere il dialogo con la Corte di giustizia Ue attraverso il rinvio pregiudiziale previsto dall’art.267 TFUE. Il GdP evidenzia che sulla fattispecie delle proroghe legislative delle concessioni balneari il Consiglio di Stato non ha mai sollevato le questioni pregiudiziali richieste al giudice di ultima istanza ai sensi dell’art.267 paragrafo 3 del TFUE, né ha mai sollevato questione di legittimità costituzionale.
- Peraltro, il Giudice di pace di Rimini precisa che la sentenza n.46/2022 della Corte costituzionale non ha condiviso il percorso interpretativo delle due sentenze dell’Adunanza plenaria del 2021 e ha ritenuto costituzionalmente legittima la proroga al 31 dicembre 2033 delle concessioni demaniali marittime per uso turistico-ricreativo e l’estensione della predetta proroga anche a quelle lacuali e fluviali, salvo smentire questa posizione con la sentenza n.109/2024, depositata il 26 giugno 2024 subito dopo le elezioni europee, che ha accolto il ricorso n.17/2023 del Governo di annullamento di una legge regionale siciliana in materia di proroga delle CDM (su cui v. infra).
- Il Giudice ordinario del nuovo rinvio pregiudiziale ritiene di dover applicare alla fattispecie di causa la normativa statale attualmente vigente, che prevede la durata indeterminata delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo alla luce del combinato disposto dell’art.3 comma 1 e dell’art.4 comma 4-bis della legge n.118/2022 nonché dell’art.10 comma 4-bis del d.l. n.198/2022, con il divieto definitivo ai Comuni concedenti di effettuare gare pubbliche per l’assegnazione delle concessioni a nuovi titolari, in un settore in cui non opera il codice dei contratti pubblici.
- Inoltre, con la declaratoria di illegittima occupazione del suolo demaniale marittimo per uso turistico-ricreativo sancita con decorrenza dal 1° gennaio 2024 enunciata e “ordinata” dal Consiglio di Stato, i titolari di concessioni “scadute” il 31.12.2023 come la Società ricorrente nel giudizio davanti al GdP di Rimini andrebbero incontro alle seguenti conseguenze sul piano civile e penale: • applicazione degli indennizzi di cui all’art. 8 del d.l. 400/1993 (convertito con modificazioni dalla legge n.494/1993) in misura pari ai canoni previsti dalla stessa normativa in caso di occupazione legittima con titolo concessorio valido, maggiorati del 200%; • applicazione dell’art.54 cod.nav. con ingiunzione da parte degli Enti gestori agli ex concessionari illegittimamente occupanti il demanio marittimo di rimettere in pristino la situazione del suolo pubblico con la demolizione delle opere non amovibili e la rimozione di quelle amovibili, provvedendo l’Ente pubblico a spese dell’interessato in caso di mancata esecuzione dell’ordine; • applicazione dell’art.1161 cod.nav., che prevede che chiunque arbitrariamente occupa uno spazio del demanio marittimo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a € 516, salvo che il fatto non costituisca un più grave reato.
- Ne consegue, secondo il Giudice di pace del rinvio pregiudiziale, che le risposte della Corte di giustizia Ue ai quesiti proposti sono indispensabili per dissipare ogni dubbio sulla astratta fondatezza della domanda della società ricorrente e di contrasto con il diritto dell’Unione di diretta applicazione del diritto soggettivo della parte ricorrente alla legittima occupazione a tempo indeterminato del suolo demaniale marittimo per lo svolgimento dell’attività in concessione, salva ogni valutazione sulla “colpa” dell’amministrazione comunale resistente, la cui azione amministrativa comunque appare in linea con le direttive (o i presunti ordini) del Consiglio di Stato, della Commissione europea e dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e, quindi, va verificata anch’essa nel quadro delle risposte della Corte Ue.
- Il Giudice di pace di Rimini con l’ordinanza del 26 giugno 2024 iscritta in Corte di giustizia al n.464/24 ha proposto quattro quesiti pregiudiziali, nessuno dei quali esaminati specificamente nelle quattro pregiudiziali già sollevate dalla giustizia amministrativa (il TAR Lombardia per la causa C-458/14 Promoimpresa sulle concessioni lacuali del Lago di Garda; il TAR Sardegna per la causa C-67/15 Salis sulle concessioni balneari della Sardegna; il TAR Lecce per la causa C-348/22 AGCM sulle concessioni balneari del Comune di Lecce; il Consiglio di Stato per la causa C-548/22 SIIB per le concessioni balneari).
- Il GdP parte dal presupposto che, proprio dalle decisioni Promoimpresa e AGCM della Corte di giustizia, si possa ricavare la non applicazione della direttiva Bolkestein e del diritto primario Ue (in particolare, la non applicazione dell’art.49 TFUE) alle imprese balneari o, comunque, la non applicazione dell’art.12 della direttiva 2006/123/CE alle CDM iniziate prima del 28.12.2009, a prescindere da ogni verifica da parte dello Stato proprietario del demanio della scarsità o meno della risorsa naturale.
- La Corte di giustizia con la sentenza SIIB, a parere di chi scrive, ha già risposto anticipatamente e positivamente a tutti e quattro i quesiti del Giudice ordinario romagnolo. Di seguito saranno esaminati partitamente i quesiti del giudice del rinvio e le risposte anticipate della Corte Ue.
SUL PRIMO QUESITO PREGIUDIZIALE DEL GDP DI RIMINI E SULLA RISPOSTA ANTICIPATA DELLA CORTE UE NELLA SENTENZA SIIB
- Con il primo quesito il Giudice di pace di Rimini ha chiesto alla Corte Ue «alla Corte se le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative come quella della società ricorrente – che non svolge una prestazione di servizi determinata dell’ente aggiudicatore, bensì esercita un’attività economica in un’area demaniale statale – rientra o non rientra nella categoria delle concessioni di servizi e, quindi, se entra o non entra nel campo di applicazione delle autorizzazioni di cui alla direttiva servizi 2006/123/CE e/o della direttiva 2014/23/UE, trattandosi di alcuni accordi aventi per oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse del demanio pubblico, in regime di diritto privato o pubblico, quali terreni, mediante i quali lo Stato fissa unicamente le condizioni generali d’uso dei beni o delle risorse in questione, alla luce di quanto precisato dalla Corte di giustizia dell’Unione ai punti 45-48 della precedente sentenza Promoimpresa S.r.l. e Melis del 14 luglio 2016 nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15 (EU:C:2016:558).».
- Il Giudice del rinvio manifesta la sua opinione affermando che la Corte di giustizia nella sentenza Promoimpresa, avendo individuato quale normativa dell’Unione applicabile alla fattispecie delle concessioni demaniali marittime e lacuali per uso turistico-ricreativo, al punto 4 il considerando 57 della direttiva 2006/123/CE e al punto 7 il considerando 15 della direttiva 2014/23/UE, possa avere inteso escludere le predette concessioni, come concessioni di beni da parte dell’autorità pubblica, dal campo di applicazione sia della direttiva Bolkestein del 2006/123/CE sia della pertinente direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, trattandosi di alcuni accordi aventi per oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse del demanio pubblico, in regime di diritto privato o pubblico, quali terreni, mediante i quali lo Stato fissa unicamente le condizioni generali d’uso dei beni o delle risorse in questione (considerando 15 della direttiva 2014/23/CE).
- Del resto, secondo il GdP, nella sentenza Promoimpresa la Corte sembra affermare espressamente ai punti 44 – 48 che le concessioni demaniali, come concessioni di beni, non rientrano tra le concessioni di servizi e, quindi, non rientrano nel campo di applicazione della direttiva 2006/123/CE e neanche della specifica direttiva 2014/23/Ue. D’altra parte, al punto 39 della sentenza del 18 settembre 2019 della Corte nella causa C-526/17 Commissione contro Repubblica italiana (EU:C:2019:756), anche la Commissione Ue sembrerebbe consapevole della predetta posizione interpretativa della Corte Ue.
- Giova ricordare che la Corte costituzionale ha così precisato nella sentenza del 27 gennaio 2017 n.29 sulla natura del rapporto concessorio del demanio marittimo: «La stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato ha riconosciuto che «non tutti i manufatti insistenti su aree demaniali partecipano della natura pubblica – e dell’inerente qualificazione demaniale – della titolarità del sedime, poiché solo ad alcuni, nella stessa dizione della legge, appartiene la natura pertinenziale. Per gli altri (che la legge indica come impianti di difficile o non difficile rimozione: definizione che appare inadatta a stabilire una differenza di categoria, dato che anche gli immobili pertinenziali sono o possono essere, di per sé, rimovibili con facilità o con difficoltà) si deve allora riconoscere, per esclusione, la qualificazione di cose immobili di proprietà privata fino a tutta la durata della concessione, evidentemente in forza di un implicito diritto di superficie» (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3308; nello stesso senso, Consiglio di Stato, sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3307 e Consiglio di Stato, sez. VI, 10 giugno 2013, n. 3196). Come osservato anche dalla difesa statale, nelle concessioni che prevedono la realizzazione di infrastrutture da parte del concessionario, il pagamento del canone riguarda soltanto l’utilizzo del suolo e non anche i manufatti, sui quali medio tempore insiste la proprietà superficiaria dei concessionari e lo Stato non vanta alcun diritto di proprietà.»
- La vicenda processuale definita dalla Corte costituzionale con la sentenza n.29/2017 costituisce un punto di vista essenziale della giurisprudenza della Consulta sulla vicenda delle concessioni demaniali marittime (in questo caso per uso portuale), sulla natura del rapporto concessorio (di concessioni di beni), sulla determinazione dei canoni da corrispondere e sulla durata del titolo concessorio (legato al titolo concessorio di concessione di beni).
- La Corte costituzionale con la sentenza n.29/2017 ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale – sollevata dal Consiglio di Stato e dal TAR Toscana in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost. – dell’art. 1, comma 252, della legge n. 296 del 2006, nella parte in cui, anche con riferimento ai rapporti concessori in corsoi, estende i medesimi criteri di determinazione dei canoni, dettati per le concessioni con finalità turistico-ricreative, alle concessioni di beni del demanio marittimo per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto.
- La denunciata irragionevolezza dell’equiparazione delle due tipologie di concessioni ai fini dell’applicabilità dei nuovi criteri di determinazione dei canoni non dipende dalla maggiore durata e dal numero limitato delle concessioni per la nautica da diporto, trattandosi di elementi ininfluenti rispetto al calcolo di convenienza economica compiuto dal concessionario prima dell’entrata in vigore della legge n.296 del 2006; l’unico tratto distintivo rilevante è invece rappresentato dall’entità degli investimenti richiesti (soprattutto, ma non in via esclusiva) ai titolari di concessioni per la nautica da diporto, laddove queste abbiano ad oggetto opere che debbano essere realizzate a cura del concessionario.
- Con riferimento a tale specifica categoria di rapporti concessori portuali, un’interpretazione costituzionalmente corretta della disposizione censurata porta ad escludere l’applicabilità, generale ed indifferenziata, dei canoni commisurati ai valori di mercato a tutte le concessioni di strutture dedicate alla nautica da diporto, rilasciate prima del 2007 ed impone la necessità di considerare la natura e le caratteristiche dei beni oggetto di concessione, quali erano all’avvio del rapporto concessorio, nonché delle modifiche successivamente intervenute a cura e spese dell’amministrazione concedente.
- Alla stregua di tale interpretazione – consentita dal testuale riferimento (art. 03 [comma 1, lett. b), n. 2.1] del d.l. n. 400, come sostituito dall’art. 1, comma 251, della legge n. 296 del 2006) ad opere costituenti “pertinenze demaniali marittime” e, pertanto, già appartenenti allo Stato – va esclusa l’applicabilità dei nuovi criteri commisurati al valore di mercato alle concessioni portuali non ancora scadute che prevedano la realizzazione di impianti ed infrastrutture da parte del concessionario, ivi incluse quelle rilasciate prima del 2007, non avendo dette opere ancora acquisito la qualità demaniale; mentre, con riferimento agli aumenti dei canoni tabellari (art. 03, comma 1, lett. b, n. 1, del d.l. n. 400) valgono i principi affermati nella sentenza n. 302 del 2010, che ha ritenuto compatibile con gli artt. 3 e 97 Cost. l’adeguamento dei canoni delle concessioni turistico-ricreative, in quanto non inaspettato e volto a consentire allo Stato una maggiorazione delle entrate e rendere i predetti canoni più equilibrati rispetto a quelli pagati in favore di locatori privati.
- Il Consiglio di Stato – Sezione VI con la sentenza del 16.1.2018 n.218 ha recepito e ampliato l’interpretazione costituzionalmente orientata pretesa dalla Corte costituzionale per le concessioni portuali iniziate prima del 2007 estendendola anche alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreativa ante 1.1.2007, con un ragionamento sofisticato che lega gli aumenti per le opere pertinenziali al momento della scadenza della concessione.
- Riprendendo alcuni passaggi della sentenza n.27/2017 della Corte costituzionale, il Consiglio di Stato nella decisione n.218/2018 evidenzia che, al fine di stabilire la proprietà statale dei beni di difficile rimozione edificati su suolo demaniale marittimo in concessione, è determinante la scadenza della concessione, essendo questo il momento in cui il bene realizzato dal concessionario acquista la qualità demaniale: «I criteri di calcolo dei canoni commisurati ai valori di mercato, in quanto riferiti alle opere realizzate sul bene e non solo alla sua superficie, risultano applicabili, quindi, soltanto a quelle che già appartengano allo Stato e che già possiedano la qualità di beni demaniali. Nelle concessioni di opere da realizzare a cura del concessionario, ciò può avvenire solo al termine della concessione, e non già nel corso della medesima (così, ancora, il § 5.7); – “nelle concessioni che prevedono la realizzazione di infrastrutture da parte del concessionario, il pagamento del canone riguarda soltanto l’utilizzo del suolo e non anche i manufatti, sui quali medio tempore insiste la proprietà superficiaria dei concessionari e lo Stato non vanta alcun diritto di proprietà” (terz’ultimo cpv. del § 5.7); – “un ‘interpretazione costituzionalmente corretta della disposizione in esame impone, quindi, la necessità di considerare la natura e le caratteristiche dei beni oggetto di concessione, quali erano all’avvio del rapporto concessorio, nonché delle modifiche successivamente intervenute a cura e spese dell’amministrazione concedente. Mentre con riferimento agli aumenti dei canoni tabellari (art. 03, comma 1, lettera b, n. 1, del d.l. n. 400 del 1993) valgono i principi affermati nella sentenza n. 302 del 2010, viceversa va esclusa l’applicabilità dei nuovi criteri commisurati al valore di mercato alle concessioni non ancora scadute che prevedano la realizzazione di impianti ed infrastrutture da parte del concessionario, ivi incluse quelle rilasciate prima del 2007. In definitiva, la non adeguata utilizzazione dei poteri interpretativi che la legge riconosce al giudice rimettente porta a ritenere la non fondatezza della presente questione di legittimità costituzionale (§ 5.7., parte finale).».
- Ciò posto, secondo il Consiglio di Stato nella sentenza n.218/2018, con riferimento alla specifica categoria dei rapporti concessori aventi a oggetto le strutture dedicate alla nautica da diporto, la sentenza della Corte costituzionale indica il percorso della interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione in esame. Occorre considerare in particolare “la natura e le caratteristiche dei beni oggetto di concessione, quali erano all’avvio del rapporto concessorio…”. L’interpretazione costituzionalmente conforme impone di effettuare il calcolo del canone sulla base della situazione di fatto esistente all’inizio del rapporto e senza considerare quanto era previsto che il concessionario vi realizzasse. Del resto, le considerazioni contenute nella sentenza n. 29/2017 sono riferibili al criterio tabellare di determinazione dei canoni per le aree nude e gli specchi acquei, sui quali fosse prevista la realizzazione di opere da parte del concessionario: il che coincide con la fattispecie per cui è causa. Rileva il Consiglio di Stato che soltanto in relazione a concessioni che abbiano ad oggetto aree e specchi acquei (privi di opere già costruite) assume significato la seguente affermazione: “nelle concessioni che prevedono la realizzazione di infrastrutture da parte del concessionario, il pagamento del canone riguarda soltanto l’utilizzo del suolo e non anche i manufatti, sui quali medio tempore insiste la proprietà superficiaria dei concessionari e lo Stato non vanta alcun diritto di proprietà” (v. parte finale del § 5.7).
- Il Consiglio di Stato ritiene quindi di fare propria una interpretazione dell’art.1 comma 252 della legge n.296/2006, secondo la quale i nuovi criteri si applicano alle sole concessioni demaniali comprensive di pertinenze demaniali, vale a dire qualora vi sia la presenza di infrastrutture statali al momento dell’inizio del rapporto concessorio: «(“… viceversa va esclusa l’applicabilità dei nuovi criteri commisurati al valore di mercato alle concessioni non ancora scadute che prevedano la realizzazione di impianti e di infrastrutture da parte del concessionario, ivi incluse quelle rilasciate prima del 2007″ – conf. C. cost. cit. , “in finem”). Se è vero che la Corte costituzionale ha considerato applicabili i nuovi importi tabellari alle concessioni rilasciate, per la costruzione e gestione di porti turistici, prima dell’entrata in vigore della legge n. 296/2006, è vero anche che “l’interpretazione costituzionalmente corretta” di tale criterio impone di fare riferimento alla configurazione che i beni demaniali avevano al momento del rilascio della concessione.».
- In buona sostanza, secondo il Consiglio di Stato, gli aumenti del canone dal 1.1.2007 si applicano soltanto alle opere che già appartengono allo Stato e che già possiedono la qualifica di bene demaniale, e non anche agli immobili che devono essere realizzati dal concessionario, tesi costituzionalmente orientata che smonta la differenza tra rinnovi legislativi e proroghe legislative, cioè l’argomento che lo stesso Consiglio di Stato nell’ordinanza del 6.9.2023 n.8184 aveva utilizzato per cercare di rendere ammissibile la questione pregiudiziale decisa dalla Corte di giustizia con la sentenza SIIB.
- In linea con la sentenza n.218/2018 il Consiglio di Stato con la recente sentenza del 9.4.2024 n.3240/2024 ha rigettato l’appello della società che pretendeva evidenze pubbliche e ha confermato il legittimo possesso del demanio marittimo in capo al concessionario portuale “uscente” a cui era stata prorogata la concessione, «considerato il regime normativo vigente al tempo in cui le concessioni contestate vennero rilasciate e, in particolare le previsioni di cui all’art.37 comma 2 del R.D. n.327 del 1942 – che, in caso di rinnovo, prevedeva il cd. “diritto di insistenza” dei precedenti concessionari – e di cui all’art.8 del D.P.R. n.328 del 1952, che ammetteva che le concessioni prive di impianti di difficile rimozione potessero essere rinnovate senza formalità istruttorie. Il che esclude che, all’epoca, fosse necessaria una particolare motivazione che comunque risulta presente in atti ed è, oltretutto, identica anche per la concessione rilasciata alla parte appellante. A ciò va aggiunto che l’Autorità Portuale, in occasione del rinnovo, pubblicò, come ricordato, il relativo decreto che venne anche notificato agli interessi, così adempiendo agli oneri istruttori e di pubblicità allora incombenti ex lege sulla parte concedente, tenendo conto che si trattava di una concessione che non interessava un’area estesa e che dunque non richiedeva forme particolari di pubblicità.».
- La sentenza SIIB della Corte Ue risolve anticipatamente il primo quesito pregiudiziale del Giudice di pace di Rimini, confermando che la direttiva Bolkestein non è stata mai applicabile alle concessioni demaniali marittime essendo concessioni di beni (cfr. Consiglio di Stato, sentenze 9.4.2022 n.3240, 5.1.2024 n.204 e 16.1.2018 n.218.; Corte di giustizia, sentenza Promoimpresa, punti 47-48; Corte costituzionale, sentenza n.29/2017).
- Del resto, la stessa Adunanza plenaria con le due sentenze 17 e 18 del 2021 è ben consapevole che le concessioni balneari sono concessioni di beni demaniali e non di servizi e non rientrano nella normativa prevista per gli appalti pubblici: «Nel caso delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative a venire in considerazione come strumento di guadagno offerto dalla p.a. non è il prezzo di una prestazione né il diritto di sfruttare economicamente un singolo servizio avente rilevanza economica. Al contrario degli appalti o delle concessioni di sevizi, la p.a. mette a disposizione dei privati concessionari un complesso di beni demaniali che, valutati unitariamente e complessivamente, costituiscono uno dei patrimoni naturalistici (in termini di coste, laghi e fiumi e connesse aree marittime, lacuali o fluviali) più rinomati e attrattivi del mondo. Basti pensare che il giro d’affari stimato del settore si aggira intorno ai quindici miliardi di euro all’anno, a fronte dei quali l’ammontare dei canoni di concessione supera di poco i cento milioni di euro, il che rende evidente il potenziale maggior introito per le casse pubbliche a seguito di una gestione maggiormente efficiente delle medesime. L’attrattiva economica è aumentata dall’ampia possibilità di ricorrere alla sub-concessione. A tal proposito, l’articolo 45-bis cod. nav. consente al concessionario, previa autorizzazione dell’autorità competente, di affidare ad altri soggetti la gestione delle attività oggetto della concessione (o di attività secondarie nell’ambito della concessione stessa). L’attuale formulazione della norma è il risultato della modifica disposta dall’articolo 10, comma 2, della legge 16 marzo 2001, n. 18, che ha soppresso le parole “in casi eccezionali e per periodi determinati”, rendendo possibile il ricorso alla sub-concessione in via generalizzata e senza limiti temporali.».
- Certamente, le competenze in materia di contabilità dello Stato e di entrate fiscali nazionali appaiono abbastanza limitate se non completamente assenti nella visione multinazionale della Plenaria, nel momento in cui il Consiglio di Stato non ha tenuto conto che di quei 15 miliardi di fatturato all’anno che sarebbero stati prodotti dalle imprese balneari, a parte l’indotto, oltre 10 miliardi sono rimasti nelle casse dello Stato, delle Regioni e dei Comuni sotto forma di tassazione a vario titolo con IVA al 22%.
- L’incipit della motivazione della sentenza SIIB della Corte Ue ai punti 44-45 pare smontare le conclusioni della sentenza Promoimpresa sull’applicazione diretta dell’art.49 TFUE ai fini della declaratoria di illegittimità con la normativa primaria Ue delle proroghe legislative delle concessioni balneari (all’epoca fino al 31.12.2020): «44 Nella misura in cui il giudice del rinvio fa riferimento, nella sua questione, agli articoli 49 e 56 TFUE, che sanciscono rispettivamente la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione dei servizi, occorre precisare che l’attribuzione di una concessione di occupazione del demanio pubblico marittimo implica necessariamente l’accesso del concessionario al territorio dello Stato membro ospitante in vista di una partecipazione stabile e continua, per una durata relativamente lunga, alla vita economica di tale Stato. Ne consegue che l’assegnazione di una tale concessione rientra nel diritto di stabilimento previsto dall’articolo 49 TFUE (v., in tal senso, sentenze del 30 novembre 1995, Gebhard, C55/94, EU:C:1995:411, punto 25; dell’11 marzo 2010, Attanasio Group, C384/08, EU:C:2010:133, punto 39, e del 21 dicembre 2016, AGET Iraklis, C201/15, EU:C:2016:972, punto 50). 45 Inoltre, in virtù dell’articolo 57, primo comma, TFUE, le disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi trovano applicazione soltanto se, segnatamente, non si applicano quelle relative al diritto di stabilimento. Occorre dunque escludere l’articolo 56 TFUE.».
- La Corte Ue nella sentenza SIIB esclude quindi che si possa applicare alla fattispecie di causa l’art.56 TFUE sulla libera prestazione di servizi su cui, in combinato disposto con l’art.49 TFUE sulla libertà di stabilimento, il Consiglio di Stato ha fondato la pretesa di imporre le gare alla scadenza delle concessioni imposta inammissibilmente iussu iudicis.
- Si tratta, in buona sostanza, di una questione solo interna all’ordinamento nazionale, come la Corte Ue si affretta a precisare nella sentenza SIIB al punto 41, salvo darne una rilevanza potenzialmente transazionale in guisa tale da meritare una risposta del Collegio di Lussemburgo: «41 sebbene tale controversia presenti carattere puramente interno, è sufficiente rilevare, come ha fatto la Commissione europea, che il codice della navigazione si applica indistintamente agli operatori economici italiani e a quelli provenienti da altri Stati membri. Pertanto, non si può escludere, secondo il giudice del rinvio, che degli operatori stabiliti in altri Stati membri fossero o siano interessati ad avvalersi delle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi al fine di esercitare delle attività sul territorio italiano e, dunque, che la normativa in questione sia suscettibile di produrre effetti che non sono limitati a tale territorio.».
- Con l’ordinanza del 12.12.2023 nella causa C-407/23 Hera Luce (EU:C:2023:981), viceversa, la Corte di giustizia – VIII Sezione aveva dichiarato manifestamente irricevibile in soli cinque mesi la questione pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato – V Sezione con ordinanza del 7.6.2023 n.5615 (Pres. De Nictolis), in materia di aggiudicazione di concessione della gestione del servizio di illuminazione pubblica della rete semaforica, di assistenza alla viabilità cittadina, dei servizi «Smart City» e delle luminarie e degli addobbi natalizi del Comune di Trieste, non assegnata alla richiedente Hera Luce s.r.l. che aveva presentato una proposta di finanza del progetto rigettata dal Comune.
- La pesante censura di irricevibilità della questione pregiudiziale è giustificata dalla Corte di giustizia nell’ordinanza Hera Luce ai punti 25-26, in particolare, con le seguenti precisazioni che possono agevolmente essere estese al caso delle proroghe delle concessioni balneari e alla pretesa del Consiglio di Stato di applicazione diretta dell’art.49 TFUE per l’indizione di gare: «25 In quarto luogo, il giudice del rinvio non ha neppure fornito elementi sufficienti per poter valutare se l’eventuale aggiudicazione della concessione di cui trattasi nel procedimento principale rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (GU 2014, L 94, pag. 1), o della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU 2006, L 376, pag. 36). In particolare, poiché il valore stimato della concessione di cui trattasi non è menzionato nell’ordinanza di rinvio, non è possibile per la Corte verificare se sia stata raggiunta la soglia di applicabilità prevista dalla direttiva 2014/23. 26 Peraltro, se è vero che, secondo la giurisprudenza della Corte, le autorità pubbliche, qualora intendano assegnare concessioni di servizi, sono tenute a rispettare le norme fondamentali del Trattato FUE in generale, e segnatamente i suoi articoli 49 e 56, nonché, in particolare, i principi di parità di trattamento e di non discriminazione in base alla nazionalità, nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva (v., in tal senso, sentenze del 4 febbraio 2016, Ince, C336/14, EU:C:2016:72, punto 86 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 21 marzo 2019, Unareti, C702/17, EU:C:2019:233, punto 27 e giurisprudenza ivi citata), le informazioni fornite dal giudice del rinvio non consentono di stabilire se, non rientrando nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/23 o della direttiva 2006/123, la concessione di cui trattasi nel procedimento principale possa essere disciplinata da dette norme. Ai fini di tale esame, spetta al giudice del rinvio accertare l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo (v., in tal senso, sentenza del 14 luglio 2016, Promoimpresa e a., C458/14 e C67/15, EU:C:2016:558, punto 68), il che è manifestamente assente nell’ordinanza di rinvio.»
- In altra fattispecie concernente le concessioni italiane per la raccolta delle scommesse, la Corte di giustizia con l’ordinanza del 16 marzo 2023 nella causa C-517/20 OL (Prorogation des concessions italiennes) (EU:C:2023:219) ai punti 27-32 ha sostanzialmente anticipato la correzione di rotta della sentenza SIIB della Corte Ue sulla limitazione degli effetti dell’art.49 TFUE sulla durata delle concessioni di servizi quando vi sia stata un armonizzazione completa a livello di direttive dell’Unione del settore, ai sensi dell’art.50 TFUE, anche se, diversamente dalla successiva decisione in commento dell’11.7.2024, la Corte comunitaria continua ad utilizzare in combinato disposto gli artt.49 e 56 TFUE. Tuttavia, è molto chiaro nell’ordinanza OL (Prorogation des concessions italiennes) che le concessioni balneari vanno considerate concessioni di beni e non di servizi, richiamando la Corte Ue il punto 48 della sentenza Promoimpresa, escludendo in ogni caso l’applicabilità alla fattispecie delle CDM della direttiva 2014/23/UE.
LE PALESI CONTRADDIZIONI DELLA SENTENZA SIIB DELLA CORTE UE SULLA MANCATA APPLICAZIONE DEI PRINCIPI DELLA SENTENZA LAEZZA
- Tornando alla disamina della sentenza SIIB, la Corte Ue al trascritto punto 44 ha richiamato il precedente della Grande Sezione nella sentenza del 21.12.2016 nella causa C-201/15 AGET Iraklis (EU:C:2016:972), che al punto 50 ha così precisato: «Per quanto attiene all’accesso al mercato di uno Stato membro che deve quindi essere garantito, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, l’obiettivo della libertà di stabilimento garantita dall’articolo 49 TFUE è quello di permettere a un cittadino di uno Stato membro o a una persona giuridica stabilita in quest’ultimo di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le sue attività e favorire così l’interpenetrazione economica e sociale nel territorio dell’Unione nel settore delle attività autonome. La libertà di stabilimento è intesa, a tal fine, a consentire a un siffatto cittadino o a siffatta persona giuridica di partecipare, in modo stabile e continuativo, alla vita economica di uno Stato membro diverso dallo Stato membro di origine e di trarne profitto esercitando nello Stato membro ospitante un’attività economica mediante un’organizzazione stabile in modo effettivo e per una durata indeterminata (v., in particolare, sentenza del 23 febbraio 2016, Commissione/Ungheria, C179/14, EU:C:2016:108, punto 148 e giurisprudenza citata).».
- La Corte Ue, esclusa l’applicazione della direttiva Bolkestein alla fattispecie della causa principale perché la concessione balneare era iniziata ben prima del 28.12.2009 (v. infra), ha ulteriormente precisato ai punti 48-49: «48 L’articolo 49, primo comma, TFUE vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Secondo costante giurisprudenza, devono considerarsi quali restrizioni a tale libertà tutte le misure che, seppur applicabili senza discriminazioni fondate sulla nazionalità, vietino, ostacolino o rendano meno attrattivo l’esercizio della libertà garantita dall’articolo 49 TFUE……49 Ciò premesso, non viola il divieto così stabilito dall’articolo 49 TFUE una normativa nazionale opponibile a tutti gli operatori esercenti delle attività nel territorio nazionale, la quale non abbia come scopo di disciplinare le condizioni relative allo stabilimento degli operatori economici interessati e i cui eventuali effetti restrittivi sulla libertà di stabilimento siano troppo aleatori e troppo indiretti perché l’obbligo da essa dettato possa essere considerato idoneo a ostacolare questa libertà…».
- Secondo la Corte, è pacifico che l’art.49, primo comma, del codice della navigazione è opponibile a tutti gli operatori esercenti attività nel territorio italiano. Di conseguenza, tutti gli operatori economici si trovano ad affrontare la medesima preoccupazione, che è quella di sapere se sia economicamente sostenibile presentare la propria candidatura e sottoporre un’offerta ai fini dell’attribuzione di una concessione sapendo che, alla scadenza di quest’ultima, le opere non amovibili costruite saranno acquisite al demanio pubblico (sentenza SIIB, punto 50).
- Ciò infatti comporterebbe per il nuovo concessionario un aumento significativo del canone da corrispondere al demanio marittimo, tenendo conto delle nuove pertinenze demaniali secondo i criteri di cui all’art.03 comma 1 d.l. n.400/1993.
- Ne consegue che l’art.49 cod.nav. non riguarda, in quanto tale, le condizioni per lo stabilimento dei concessionari autorizzati a gestire un’attività turisticoricreativa sul demanio pubblico marittimo italiano. Infatti, la disposizione in parola prevede soltanto che, alla scadenza della concessione e salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, le opere non amovibili costruite dal concessionario saranno incamerate immediatamente e senza compensazione finanziaria nel demanio pubblico marittimo (sentenza SIIB, punto 51).
- Secondo la Corte, l’art.49 cod.nav. si limita a trarre le conseguenze dei principi fondamentali del demanio pubblico, secondo cui l’appropriazione gratuita e senza indennizzo, da parte del soggetto pubblico concedente, delle opere non amovibili costruite dal concessionario sul demanio pubblico costituisce l’essenza stessa dell’inalienabilità del demanio pubblico, che implica segnatamente che il demanio pubblico resta di proprietà di soggetti pubblici e che le autorizzazioni di occupazione demaniali hanno carattere precario, nel senso che esse hanno una durata determinata e sono inoltre revocabili (sentenza SIIB, punti 53-54).
- A questo punto, per escludere l’applicazione dell’indennizzo al concessionario uscente previsto dalla sentenza del 28 gennaio 2016 in causa C-375/14 Laezza (EU:C:2016:60), la Corte commette due gravi errori cognitivi della situazione regolativa interna, il primo determinato dalle osservazioni scritte del Governo italiano, il secondo dalla prospettazione del Consiglio di Stato e dalle osservazioni scritte del Comune di Rosignano Marittimo sulla distinzione tra rinnovi legislativi e proroghe legislative.
- Per quanto riguarda il primo errore, la Corte afferma che, come fatto valere dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, l’autorizzazione all’occupazione del demanio pubblico marittimo di cui beneficiava la SIIB le conferiva soltanto un semplice diritto di superficie a carattere transitorio sulle opere non amovibili che essa aveva costruito su tale demanio (sentenza SIIB, punto 54).
- In realtà, la pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato, come richiamata dalla sentenza n.29/2017 della Corte costituzionale, e la stessa prospettazione dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale del CdS, afferma la qualificazione di cose immobili di proprietà privata del concessionario fino a tutta la durata della concessione e che il pagamento del canone riguarda soltanto l’utilizzo del suolo e non anche i manufatti, sui quali medio tempore insiste la proprietà superficiaria dei concessionari e lo Stato non vanta alcun diritto di proprietà. Per le opere immobili costruite su suolo demaniale i concessionari devono dotarsi di apposite licenze e autorizzazioni secondo l’art.8 del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. n. 380/2001).
- Parafrasando il punto 60 della sentenza SIIB, i concessionari balneari, come nella causa Laezza che riguardava il settore dei giochi d’azzardo, utilizzano, per esercitare la loro attività economica, beni di cui essi sono realmente proprietari.
- La confusione che fa la Corte tra mero diritto di superficie e proprietà superficiaria delle opere (immobili) non amovibili o di difficile rimozione è gravissima, perché comporta anche la non applicazione dell’art.17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sulla tutela del diritto di proprietà, che avrebbe sicuramente indotto la Corte Ue all’assoggettamento della fattispecie alle conclusioni della sentenza Laezza e l’obbligo di indennizzo a carico del concessionario subentrante al termine della concessione: «Gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una disposizione nazionale restrittiva, quale quella in questione nel procedimento principale, la quale impone al concessionario di cedere a titolo non oneroso, all’atto della cessazione dell’attività per scadenza del termine della concessione, l’uso dei beni materiali e immateriali di proprietà che costituiscono la rete di gestione e di raccolta del gioco, qualora detta restrizione ecceda quanto è necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito da detta disposizione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.».
- Come si può notare, anche nella sentenza Laezza gli artt.49 e 56 TFUE (come nella sentenza Promoimpresa) vengono applicati dalla Corte in combinato disposto, per cui la limitazione dell’interpretazione comunitaria nella fattispecie della causa SIIB al solo art.49 TFUE appare un revirement, seppure confortato da precedente giurisprudenza della Corte di giustizia, a conferma del fatto che la confusione ermeneutica sulla materia delle concessioni balneari è dipesa non tanto dalla volontà feroce della giurisprudenza amministrativa di procedere a gare pubbliche in un settore in cui le gare non sono previste né dal diritto dell’Unione né dal codice dei contratti pubblici, ma dalla eccezionale contraddittorietà anche all’interno della stessa decisione della giurisprudenza comunitaria (sentenze Promoimpresa, AGCM e SIIB).
- Sotto un secondo profilo, la Corte afferma erroneamente che il quadro normativo applicabile, nel caso di specie, ad una concessione di occupazione del demanio pubblico fissa, senza alcun possibile equivoco, i termini dell’autorizzazione all’occupazione che viene concessa e che la SIIB non poteva ignorare, sin dalla conclusione del contratto di concessione, che l’autorizzazione all’occupazione demaniale che le era stata attribuita aveva carattere precario ed era revocabile (sentenza SIIB, punto 56).
- All’epoca dei fatti dell’incameramento (illegittimo) dei beni non amovibili di proprietà del concessionario (2008) si applicava l’art.01 comma 2 del d.l. n. 400 del 1993, nel testo modificato dall’art.10 comma 1 della legge n.88/2001 e in vigore dal 18 aprile 2001 fino al 16 gennaio 2012, aveva previsto il rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime in essere di sei anni in sei anni, salvo la revoca di cui all’art.42 cod.nav., e l’originario testo dell’art.37 comma 2 cod. nav. fino al 29.12.2009 prevedeva il c.d. di insistenza del precedente titolare del rapporto concessorio con il demanio marittimo. In buona sostanza, il combinato disposto delle predette norme, ora abrogate, prevedeva la durata indeterminata del rapporto concessorio demaniale marittimo di cui era titolare la SIIB. Non vi era nessun rinnovo contrattuale né alcuna discrezionalità del Comune di Rosignano di determinare nuove regole dello stesso titolo concessorio.
- Appare apodittica, infatti, l’affermazione della Corte Ue (sentenza SIIB, punto 61), secondo cui «dal punto 43 della sentenza del 28 gennaio 2016, Laezza (C375/14, EU:C:2016:60) risulta che una misura che imponeva la cessione a titolo gratuito dell’uso dei beni necessari alla gestione dei giochi d’azzardo era accostabile ad una sanzione, in quanto essa veniva imposta al concessionario e questi non poteva negoziarla», mentre per i concessionari balneari la questione se i beni costruiti dal concessionario sul demanio pubblico nel corso della concessione debbano entrare gratuitamente a far parte del demanio pubblico rientrerebbe in un negoziato contrattuale tra il soggetto pubblico concedente e il suo concessionario, proprio perché l’esperienza applicativa dell’art.49 cod.nav. non ha mai consentito alcuna contrattazione tra pubblica amministrazione concedente e concessionario al momento della instaurazione del rapporto concessorio.
- L’art.49 comma 1 cod.nav. nell’esperienza normativa e fattuale non ha mai consentito la possibilità di derogare per contratto al principio dell’acquisizione immediata senza alcun indennizzo o rimborso delle opere non amovibili costruite dal concessionario sul demanio pubblico marittimo e tale disposizione, inattuata, diversamente da quanto dedotto dalla Corte Ue (sentenza SIIB, punto 57) evidenzia la dimensione pubblicistica e non contrattuale e consensuale, di una concessione di occupazione del demanio pubblico al momento della sua costituzione. In conseguenza, l’acquisizione immediata, gratuita e senza indennizzo delle opere non amovibili costruite dal concessionario su tale demanio può sicuramente essere considerata come una modalità di cessione forzosa delle opere suddette, con conseguente applicazione dell’indennizzo secondo i principi della sentenza Laezza.
- E non è vero, come afferma la Corte Ue (sentenza SIIB, punto 58) che la questione se si tratti di un rinnovo (legislativo) o della prima attribuzione (contrattuale) di una concessione non può avere alcuna incidenza sulla valutazione dell’art.49 comma 1 cod.nav., proprio perché il rinnovo legislativo e non contrattuale, si ribadisce, di una concessione di occupazione del demanio pubblico si traduce nella perpetuazione o nella proroga del primo titolo concessorio e non nella successione di due titoli di occupazione di tale demanio, come pretende il Consiglio di Stato, la cui interpretazione, abbracciata fideisticamente ed erroneamente dalla Corte comunitaria, non è certamente idonea a garantire che l’attribuzione di una concessione che non è mai scaduta e che – allo stato – ha durata indeterminata per la legislazione nazionale, possa avvenire soltanto all’esito di una procedura concorrenziale che ponga tutti i candidati e gli offerenti su un piede di parità.
- In buona sostanza, i principi ricavabili dalla sentenza SIIB sulla compatibilità dell’art.49 cod.nav. con l’art.49 TFUE rappresentano molto bene lo stato di confusione e di incertezza interpretativa in cui è caduta la Corte di giustizia su questioni, tutte interne all’ordinamento nazionale, quali – direttamente – l’indennizzo al concessionario uscente per le opere non amovibili al momento della scadenza del titolo concessorio e – indirettamente, ma fondamentalmente – la durata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreativa.
- In ogni caso, dalla sentenza SIIB si evince che le concessioni balneari sono concessioni di beni e non di servizi e che, quindi, non si applica a tale categoria di imprese né la direttiva 2006/123/CE né la direttiva 2014/23/UE, esattamente nei termini del primo quesito del giudice di pace di Rimini.
L’ILLOGICA APPLICAZIONE DI GARE AD UN SETTORE ESCLUSO DAL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI: IL CASO “PONTE MORANDI”
- A proposito della non applicazione alle CDM della direttiva 2014/23/Ue in materia di aggiudicazione dei contratti di concessione, va evidenziato che in data 30 aprile 2024 sono state depositate le conclusioni scritte dell’Avvocato generale Manuel Campos Sànchez-Bordona nella causa C-683/22 Adusbef (Ponte Morandi), sul rinvio pregiudiziale del TAR Lazio in merito alle modifiche senza gara del 2021-2022 alla Convenzione unica stipulata il 12 ottobre 2007 tra ASPI e l’Anas, in cui si assegnava ad ASPI (Gruppo Atlantia, ora Mundys s.p.a.) la concessione di una pluralità di tratte autostradali italiane dell’estensione di oltre 2.800 chilometri fino al 31 dicembre 2038, cioè per la durata di oltre 31 anni, ratificando il legislatore questa operazione di affidamento a trattativa privata per un fatturato di miliardi di euro all’anno, totalmente contraria alla disciplina interna ed Ue in materia di appalti pubblici di beni e/o di servizi, con l’art.8 duodecies del d.l. n.59/2008, convertito con modificazioni dalla legge 101/2008.
- La concessione delle autostrade gestite da ASPI ha origine nell’aggiudicazione, nel 1968, alla società Autostrade-Concessioni e Costruzioni Autostrade SpA. Quest’ultima è stata privatizzata nel 1999 dal Governo D’Alema e, nel 2003, ha trasferito le sue attività di concessioni autostradali ad ASPI.
- Come è noto, le modifiche alla Convenzione unica del 2007 sono state determinate dal gravissimo disastro del 14 agosto 2018, quando, nei pressi di Genova, una sezione del viadotto Polcevera sull’autostrada A10 (il «ponte Morandi»), in concessione ad ASPI, è crollato, provocando la morte di 43 persone.
- L’avvocato generale Campos Sànchez-Bordona nella causa C-683/22 Adusbef (Ponte Morandi) ha concluso nel senso che, ai sensi dell’art.43 della direttiva 2014/23, un contratto di concessione può essere modificato senza indire una nuova procedura di evidenza pubblica, qualora le modifiche apportate alle sue clausole, senza alterare la natura generale della concessione, non siano sostanziali, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
- Nella stessa causa l’Avvocato generale ha ricordato ai punti 28-29 delle conclusioni che, se è vero quanto affermato da Atlantia/Mundys, la direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione non è rilevante ai fini della risoluzione della controversia, poiché, ai sensi del suo articolo 54, paragrafo 2, essa «non si applica all’aggiudicazione di concessioni per le quali è stata presentata un’offerta o che sono state aggiudicate prima del 17 aprile 2014», dal momento che la concessione controversa è stata assegnata senza gara il 12 ottobre 2007, è giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia Ue (per tutte, sentenza del 2 settembre 2021, Sisal e a. in cause riunite C721/19 e C722/19, EU:C:2021:672) che, anche se la concessione originaria è stata rilasciata prima dell’adozione della direttiva 2014/23, ciò che rileva per determinare la norma applicabile è la data delle modifiche la cui validità è contestata, che è successiva al 17 aprile 2014, il che determina l’applicabilità della direttiva 2014/23.
- Quindi, nessuna gara va fatta per la modifica della Convenzione unica del 2007 per l’affidamento diretto ad ASPI, che già le gestiva dal 1999, di oltre 2.800 km di autostrade nazionali.
- Evidentemente per le concessioni balneari, che, come concessioni di beni, non entrano nel campo di applicazione né della direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione né della direttiva servizi 2006/123/CE né nella disciplina interna del codice dei contratti pubblici, non si possono indire procedure di evidenza pubblica, come pretende il Consiglio di Stato e come contraddittoriamente e confusamente suggerito dalla Corte di giustizia. Sarebbe una aberrazione, non giustificata né giustificabile alla luce del diritto dell’Unione.
SUL SECONDO QUESITO PREGIUDIZIALE DEL GDP DI RIMINI E SULLA RISPOSTA ANTICIPATA DELLA CORTE UE NELLA SENTENZA SIIB
- Con il secondo quesito pregiudiziale il Giudice di pace di Rimini nell’ordinanza del 26 giugno 2024 nella causa C-464/24 ha chiesto alla Corte Ue: «A prescindere dalla risposta della Corte al primo quesito, si chiede se le concessioni balneari come quella di cui è titolare la società ricorrente, iniziate prima del 28 dicembre 2009, sono comunque fuori dal campo di applicazione della direttiva 2006/123/CE ai sensi dell’art.44 della stessa direttiva autorizzazioni, come sembrerebbe ricavarsi dal punto 73 della sentenza “Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Commune de Ginosa)” della Corte del 20 aprile 2023 in causa C-348/22 (EU:C:2023:301).».
- L’art.44 della direttiva 2006/123/CE prevede che gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alle disposizioni della stessa direttiva entro il 28 dicembre 2009.
- Pertanto, secondo il Giudice di pace di Rimini, la direttiva Bolkestein non è stata mai applicabile alle concessioni demaniali marittime essendo concessioni di beni e non di servizi o di lavori e, comunque, la direttiva 2006/123/CE non poteva essere applicata alle CDM come quella della società ricorrente nel procedimento principale, iniziate prima del 28.12.2009.
- Secondo l’ordinanza di rinvio la sentenza AGCM della Corte al punto 73 parrebbe esplicitare l’esclusione delle concessioni demaniali marittime dal campo di applicazione della direttiva 2006/123/CE quando iniziate prima del 28.12.2009.
- Lo stesso Consiglio di Stato con sentenza del 13 gennaio 2022 n.229/2022 al punto 6.7 ha precisato, richiamando la sentenza Togel della Corte di giustizia del 24.9.1998 in causa C-76/97 (EU:C:1998:161), che le concessioni balneari iniziate prima del 28.12.2009 non entrano nel campo di applicazione della Direttiva Bolkestein profilo non esaminato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nelle sentenze nn.17 e 18 del 2021.
- Come già evidenziato, il rapporto concessorio sottoposto all’attenzione della Corte Ue nella causa SIIB è iniziato in periodo antecedente al 28.12.2009 (dal 1928) e l’ultima (illegittima) devoluzione delle opere non amovibili al demanio marittimo è avvenuta nel 2008, e nella sentenza AGCM la Corte di giustizia al punto 73 aveva già chiarito il significato e la portata dell’art.12 paragrafi 1 e 2 della direttiva Bolkestein rispetto a CDM iniziate prima del 28 dicembre 2009 che, quindi, erano comunque al di fuori del campo di applicazione della direttiva servizi.
- La più autorevole dottrina amministrativista ha subito evidenziato che l’interpretazione del diritto dell’Unione nella sentenza AGCM della Corte di giustizia si poneva in distonia con le indicazioni ermeneutiche e normopoieutiche delle sentenze del 9 novembre 2021 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in particolare per quanto riguarda la verifica della scarsità della risorsa naturale e la non assoggettabilità alla direttiva Bolkestein delle concessioni assegnate prima del 28.12.2009.
- Si fa riferimento all’autorevole commento della sentenza AGCM della Corte Ue da parte del Presidente aggiunto del Consiglio di stato, dott. C. Volpe, Concessioni demaniali marittime: un’ulteriore puntata di una storia infinita, 26 aprile 2023, su www.giustizia-amministrativa.it. E’ stato il Presidente del Collegio della sentenza n.229/2022 del Consiglio di Stato, che ha escluso per la prima volta nella giurisprudenza amministrativa le concessioni balneari assegnate prima del 28.12.2009 dal campo di applicazione della direttiva servizi e che propone come soluzione la seguente: «a) eliminazione della proroga legislativa al 31 dicembre 2024 salvaguardando le concessioni affidate prima del 28 dicembre 2009, data di entrata in vigore della direttiva Bolkestein. Soluzione di non semplice percorribilità considerato che la CGUE, nella sentenza del 20 aprile 2023, ribadisce che la direttiva Bolkestein va applicata “dal momento della sua entrata in vigore, ossia, …a decorrere dal 28 dicembre 2009” (punto 73)».
- Il parere dell’Avvocato generale Capeta nelle sue conclusioni scritte depositate l’8 febbraio 2024 nella causa C-598/22 già non lasciava ombra a dubbi sul fatto che la emananda sentenza della III Sezione della Corte di giustizia dell’11 luglio 2024 avrebbe confermato la questione interpretativa fondamentale già affrontata e risolta dalla stessa Sezione della Corte Ue nella sentenza AGCM del 20.4.2023 al punto 73, che svuota di ogni (residuo) valore giuridico il contenuto interpretativo e impositivo di norme delle decisioni del 2021 dell’Adunanza plenaria: le concessioni demaniali marittime assegnate prima del 28.12.2009 non entrano nel campo di applicazione della direttiva Bolkestein.
- Infatti, al punto 46 della sentenza SIIB puntualmente e seccamente la Corte Ue ha precisato: «Inoltre, poiché dall’articolo 44, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2006/123 discende che quest’ultima è inapplicabile ratione temporis alla controversia di cui al procedimento principale, la questione pregiudiziale deve essere esaminata soltanto alla luce dell’articolo 49 TFUE.».
- Pare evidente che la Corte Ue abbia anticipatamente confermato la fondatezza anche del secondo – dirimente – quesito pregiudiziale del Giudice di pace di Rimini, che smonta definitivamente l’impianto “accusatorio” dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nelle sentenze nn.17 e 18 del 2021.
SUL TERZO QUESITO PREGIUDIZIALE DEL GDP DI RIMINI E SULLA RISPOSTA ANTICIPATA DELLA CORTE UE NELLA SENTENZA SIIB
- Con il terzo quesito pregiudiziale il Giudice di pace di Rimini nell’ordinanza del 26.6.2024 nella causa C-464/24 ha chiesto alla Corte Ue: «A prescindere dalla risposta della Corte al primo e al secondo quesito, si chiede se l’art.195 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea, anche alla luce dell’art.345 dello stesso TFUE e dell’art.1 paragrafo 5 della direttiva 2006/123/CE, deve essere interpretato nel senso che le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative come quella della società ricorrente, operanti nel settore del turismo, sono escluse dal campo di applicazione delle direttive di armonizzazione, come la direttiva 2006/123/CE.».
- Il GdP di Rimini ricorda che l’art.195 del TFUE con decorrenza dal 1.12.2009 (la norma non era presente nel TCE) esclude nel settore turismo che il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possano introdurre, sul piano legislativo, misure specifiche di armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.
- L’art.345 del TFUE stabilisce che i trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri.
- Inoltre, come sottolineato più volte nella narrativa del presente scritto, l’art.01 comma 2 del d.l. n. 400 del 1993, nel testo modificato dall’art.10 comma 1 della legge n.88/2001 e in vigore dal 18 aprile 2001 fino al 16 gennaio 2012, aveva previsto il rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime in essere di sei anni in sei anni, salvo la revoca di cui all’art.42 cod.nav., e l’originario testo dell’art.37 comma 2 cod. nav. fino al 29.12.2009 prevedeva il c.d. di insistenza del precedente titolare del rapporto concessorio con il demanio marittimo. In buona sostanza, il combinato disposto delle predette norme, ora abrogate, prevedeva la durata indeterminata del rapporto concessorio demaniale marittimo di cui è titolare la Società ricorrente nella causa C-464/24.
- Secondo il giudice ordinario del rinvio pregiudiziale, il legislatore nazionale ha riproposto la stessa situazione delle norme abrogate con il combinato disposto dell’art. 3 commi 1 e 3 e dell’art.4 comma 4-bis della legge n.118/2022, nonché con l’art.10-quater comma 3 del d.l. n.198/2022, normativa attualmente vigente, nella parte in cui la disciplina interna qualifica come legittima a tempo indeterminato l’occupazione del demanio marittimo assegnato secondo le regole del codice della navigazione fino alla revoca o alla decadenza del rapporto concessorio, impedendo che si realizzi la fattispecie di reato di cui all’art.1161 del codice della navigazione in caso di occupazione illegittima.
- L’attuale situazione normativa interna, del resto, è stata accertata dalla stessa Commissione Ue nel parere motivato del 16 novembre 2023 e tale interpretazione letterale-sistematica non può essere sicuramente smentita dai contraddittori comportamenti del Governo italiano, caratterizzati da una fortissima componente di bipolarità istituzionale in opposte direzioni.
- Infatti il Governo italiano, da un lato, ha risposto il 16.1.2024 attraverso una dirigente del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, poco esperta di diritto Ue, che ha negato l’evidenza ed affermato apoditticamente che le concessioni balneari sarebbero cessate tutte al 31.12.2024.
- Dall’altro, il Governo, attraverso l’Avvocatura dello Stato, ha proposto davanti alla Consulta nel silenzio generale il 2 maggio 2023 il ricorso n.17/2023 per declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 36 della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2023 n.2, rubricato «Modifiche di norme in materia di concessioni demaniali marittime», norma che si era limitata a fissare il nuovo termine del 30 aprile 2023 per la presentazione delle domande di proroga delle concessioni attualmente in essere, rispetto al vecchio termine del 31.8.2021, che era stato rispettato dalla quasi totalità delle CDM con estensione della durata \\dalla Regione Siciliana, proprietaria del demanio marittimo regionale sulla base dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Siciliana 14 dicembre 2019 n. 24 (Estensione della validità delle concessioni demaniali marittime), aveva in precedenza disposto l’estensione, fino al 31 dicembre 2033, delle concessioni demaniali ex lege in essere al 31 dicembre 2018, a condizione che il concessionario presentasse apposita domanda, in espressa conformità con le previsioni statali – di cui all’art. 1, commi 682 e 683, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 – che avevano fissato, con decorrenza dalla data della loro entrata in vigore, una durata pari ad anni quindici (e dunque, fino al 2033) per le concessioni demaniali marittime vigenti in quel momento.
- Incredibilmente, si scopre nel ricorso n.17/2023 presentato dal Governo alla Corte costituzionale contro la “innocua” legge regionale (si trattava di impedire a pochissime nuove imprese concessionarie stagionali che avevano iniziato l’attività dopo il 1° gennaio 2019 di accedere al portale regionale di evidenza pubblica per la proroga delle concessioni fino al 31.12.2024, come previsto dall’art.3 comma 1 della legge n.118/2022, nel testo modificato dalla legge n.14/2023) l’Avvocatura dello Stato abbia abbracciato integralmente la tesi che le concessioni balneari dovevano cessare al 31.12.2023, in quanto «La proroga delle concessioni demaniali, senza l’indizione di procedure imparziali e trasparenti per la selezione dei concessionari, si porrebbe, infatti, in contrasto con le previsioni dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, avente carattere self-executing. Il ricorrente richiama, in proposito, le sentenze dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato 9 novembre 2021, n. 17 e n. 18, nonché la recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 20 aprile 2023, in causa C-348/22, Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha ribadito la contrarietà al diritto UE dei rinnovi automatici delle concessioni aventi ad oggetto l’occupazione del demanio marittimo italiano.».
- Nel mentre nel ricorso n.17/2023 il Governo nella linea difensiva intrapresa dimenticava che la sentenza AGCM aveva anche precisato che le concessioni balneari antecedenti al 28.12.2009 erano fuori dalla Bolkestein e che spettava allo Stato proprietario del demanio marittimo la verifica della scarsità della risorsa naturale per l’eventuale applicazione dell’art.12 della direttiva 2006/123/CE, lo stesso Governo iniziava e concludeva il 5 ottobre 2023 i lavori del Tavolo tecnico consultivo in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, istituito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art.10-quater commi 1 e 2, del d.l. n.198/2022, con il compito di definire i criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, comunicando la Presidenza del Consiglio dei Ministri con la nota ufficiale del 6.10.2023 la insussistenza della scarsità della risorsa naturale costiera, tenendo conto del dato nazionale, secondo un approccio generale e astratto, proporzionato e non discriminatorio.
- Insomma, la mano destra non sa cosa fa la sinistra, anche se apparentemente appartengono allo stesso corpo istituzionale.
- Per tornare a situazioni giuridiche più serie in termini di effettiva tutela dei diritti, secondo il Giudice di pace di Rimini in relazione al terzo quesito l’art.12 della direttiva 2006/123/CE non potrebbe comunque incidere sulla predetta normativa interna (che prevede la durata indeterminata delle concessioni) che ha effetti di qualificazione dell’occupazione del demanio pubblico marittimo anche in materia di diritto penale, come del resto previsto dall’art.1 paragrafo 5 della stessa Direttiva Bolkestein.
- D’altra parte, secondo il GdP, non spetta alla pubblica amministrazione o ai giudici ordinari o amministrativi, ma alla Corte Costituzionale la “disapplicazione” attraverso la declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa vigente sulle concessioni demaniali marittime per presunto contrasto con direttive dell’Unione, perché dalla stessa potrebbero derivare conseguenze penali in capo ai concessionari ex art.1161 cod.nav., come ha chiarito la stessa Corte costituzionale con la sentenza n.28/2010, laddove ha stabilito espressamente che gli “effetti diretti devono invece ritenersi esclusi se dall’applicazione della direttiva deriva una responsabilità penale” (cfr. Corte di giustizia Ue, ordinanza 24 ottobre 2002 in causa C-233/01 RAS, EU:C:2001:261; Grande Sezione, sentenza 3 maggio 2005 in cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi e altri, EU:C:2005:270).
- Inoltre, la Corte costituzionale ha ripetutamente chiarito (sentenze nn.46/2022, 222/2020, 40/2017, 213/2011, 233/2010 e 180/2010) che è di esclusiva dello Stato centrale, come proprietario del demanio, stabilire le modalità di rinnovo e/o riassegnazione delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative.
- Né la sentenza del 26.6.2024 n.109 della Corte costituzionale, che, contestualmente al deposito dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale del GdP di Rimini e dopo le elezioni europee, ha accolto il ricorso “selettivo” n.17/2023 del Governo contro la norma della legge regionale siciliana che avrebbe consentito a pochissime imprese balneari stagionali di beneficiare della proroga automatica fino al 31.12.2024 di cui all’art.3 comma 1 della legge n.118/2022, può inficiare la valutazione del Giudice ordinario del nuovo rinvio pregiudiziale.
- Se, modificando la propria decisione n.46/2022, la Corte costituzionale fosse stata così convinta, come lo è stato il bipolare Governo italiano nel ricorso n.17/2023, che la sentenza AGCM della Corte di giustizia e le sentenze del Consiglio di Stato confermassero la necessità di disapplicare la normativa interna che consente attualmente la durata indeterminata delle CDM, avrebbe potuto e dovuto sollevare d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell’art.3 comma 3 e dell’art.4 comma 4-bis della legge n.118/2022, nonché dell’art.10 comma 4-bis del d.l. n.198/2022, per contrarietà con il diritto dell’Unione, nella parte in cui dette disposizioni consentivano di protrarre la durata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreativa dopo il 31.12.2024.
- Non avendo operato in tal senso, significa che la Corte costituzionale ha fatto soltanto un’attività di interpretazione legata ad un contesto limitatissimo di riparto di competenza tra Stato e Regione per rispetto delle posizioni assunte in subiecta materia dal Consiglio di Stato, dal Presidente della Repubblica e dalla Commissione Ue, senza però alcuna efficacia giuridica sull’attuale normativa.
- In conclusione, secondo il giudice di pace di Rimini, le direttive di armonizzazione come la direttiva 2006/123/CE non dovrebbero applicarsi alle concessioni demaniali marittime, anche perché diversamente andrebbero ad incidere sulla normativa in materia di proprietà e/o possesso dei beni immobili e sulla qualificazione legittima o illegittima ai fini penali della loro occupazione.
- Anche in questo caso la sentenza SIIB può essere considerata una risposta positiva anticipata al terzo quesito pregiudiziale, nella parte in cui è fortemente (ed eccessivamente, considerato lo svarione interpretativo sul diritto di superficie di beni immobili che invece sono di proprietà del concessionario) valorizzata dalla Corte Ue la natura demaniale statale del suolo e del demanio dato in concessione e la completa svalutazione dell’art.56 TFUE, inapplicabile alla fattispecie di concessioni di beni e non di servizi.
SUL QUARTO QUESITO PREGIUDIZIALE DEL GDP DI RIMINI E SULLA RISPOSTA ANTICIPATA DELLA CORTE UE NELLA SENTENZA SIIB
- Con il quarto e ultimo quesito il Giudice di pace di Rimini nell’ordinanza del 26.6.2024 nella causa C-464/24 ha chiesto alla Corte Ue: «A prescindere dalla risposta della Corte al primo, al secondo quesito e al terzo quesito, si chiede se l’art.51 (ex art.45 TCE) del Trattato di funzionamento dell’Unione europea e l’art.2 paragrafo 2 lettera i) della direttiva 2006/123/CE devono essere interpretati nel senso che le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative come quelle della società ricorrente, che svolgono in maniera costante e non occasionale attività di interesse pubblico sul territorio del demanio statale, quali la salvaguardia della proprietà pubblica, la tutela della salute e dell’igiene pubblica, la tutela del diritto delle persone con disabilità all’accesso alle attività di elioterapia e di balneazione, nonché attività turistiche, culturali e ambientali, sono escluse dal campo di applicazione sia dell’art.49 del T.F.U.E. che della direttiva servizi».
- Ritiene il Giudice del rinvio che l’art.51 (ex art.46 TCE) al Titolo IV Capo 2 del TFUE prevede che sono escluse dall’applicazione delle disposizioni dello stesso Capo 2 (artt.49 – 55 TFUE), per quanto riguarda lo Stato membro interessato, le attività che in tale Stato partecipino, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri.
- Pertanto, secondo il GdP di Rimini, le concessioni demaniali marittime sarebbero escluse dal campo di applicazione dell’art.49 del TFUE, partecipando non occasionalmente ma direttamente all’esercizio dei pubblici poteri di tutela del patrimonio costiero, di tutela della salute e dell’igiene pubblica, di garanzia del libero e sicuro accesso alla balneazione di persone disabili, ecc.
- Anche sul quarto quesito la Corte di giustizia con la sentenza SIIB pare aver dato anticipatamente risposta positiva, seppure indirettamente, valorizzando l’art.49 TFUE soltanto sotto il profilo della libertà di stabilimento senza che esso possa incidere, al di fuori delle direttive di armonizzazione non applicabili alla fattispecie delle concessioni di beni demaniali come quelle marittime, sulla definizione delle condizioni di durata delle CDM.
CONCLUSIONI
- Spetta solo al confusionario e inconcludente Governo Meloni e al Parlamento uscire dal caos normativo e giurisprudenziale che attualmente caratterizza il settore, per far fronte alle legittime e preannunciate forme di protesta dei concessionari balneari in pieno agosto, a fronte di forzature amministrative di Comuni e Regioni che si adattano, per l’inerzia incredibile dell’Esecutivo e per i suoi contraddittori comportamenti innanzi evidenziati.
- E’ evidente, anche alla luce della sentenza SIIB della Corte di giustizia e dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Giudice di pace di Rimini, che la durata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreativa è solo un affare interno all’ordinamento nazionale
- Per quanto riguarda la Commissione Ue, dopo aver incassato il nuovo mandato della Presidente Von der Leyen, appare aver deposto l’ascia di guerra contro i balneari, rinunciando ad un (inammissibile e temerario) ricorso per inadempimento, come si evince dalla risposta del 26.7.2024 del Capo unità della Direzione generale del Mercato interno, dell’Industria, dell’Imprenditoria e delle PMI ai messaggi del presidente dell’associazione non riconosciuta “mare libero aps”, che, con la scusa di allargare la possibilità a tutti i cittadini di accedere alla libera balneazione attraverso il demenziale e penalmente illecito assunto che le concessioni demaniali marittime sarebbero tutte cessate il 31.12.2023, ha già in passato manifestato sul piano giudiziario i veri obiettivi della battaglia “civile”, cioè di impossessarsi delle concessioni balneari contra legem e a costo zero, come risulta dalla sentenza del 18.12.2023 n.1194 del TAR Firenze e dalla sentenza del 24.4.2024 n.1382 del TAR Palermo, che hanno rigettato due ricorsi dell’associazione e della società Marelibero s.r.l.s. (costituita con atto del 25 marzo 2024 e con un capitale sociale di soli € 500,00 con socio unico, risultata inattiva dalla visura camerale), con condanna alle spese, che tendevano ad appropriarsi indebitamente sulla base di semplici domande di due concessioni balneari rispettivamente a Viareggio e Mondello.
- Nella citata comunicazione del 26.7.2024 la Commissione Ue precisa: «Da ultimo, osserviamo che la CGUE si è recentemente pronunciata in merito alla questione dell’“indennizzo ai prestatori uscenti” (sentenza dell’11/7/2024 nel caso C-598/22 – Società Italiana Imprese Balneari) fornendo, dunque, indicazioni al legislatore italiano al fine di disciplinare anche tale aspetto. La Commissione ha sollevato in numerose occasioni con le autorità italiane le conseguenze legate all’assenza di una legge di riordino complessivo del settore e la frammentazione giuridica che ne è conseguita e si impegna a farlo anche nel contesto della nuova legislatura europea, appena avviatasi».
- Quindi, il legislatore nazionale può trarre immediatamente spunto dalla sentenza SIIB della Corte di giustizia e andare ad individuare con decretazione d’urgenza un doppio canale di interventi normativi prima della legge di riordino della materia, resa priva di regolazione certa dalla prima immotivata procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea nel 2008 su sollecitazione “interna” dell’AGCM, che aveva modificato quelle regole del codice della navigazione e della legislazione speciale che assicuravano certezza dei diritti: 1) escludere le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative iniziate prima del 28.12.2009 da ogni interferenza degli Enti locali e da ogni possibilità di indizione di gare illegittime per contrarietà al diritto dell’Unione; 2) per il resto, prevedere un congruo indennizzo ai concessionari uscenti che non rientrano nel campo di esclusione della direttiva Bolkestein alla luce dei principi della sentenza Laezza della Corte di giustizia, andando a definire nel contempo i criteri per le gare, attualmente inesistenti.
- Se poi la Corte di giustizia confermerà in senso positivo i quesiti pregiudiziali del Giudice di pace Rimini, si scoprirà che è stato tutto un grande bluff istituzionale (Ue) e giudiziario per favorire interessi economici di imprese o soggetti che operano con enormi capitali da investire nella parte migliore del turismo nazionale, per distruggere ingiustificatamente il tessuto delle piccole e piccolissime aziende nazionali in gran parte a vocazione familiare, che operano da decenni nel settore e che non meritano il trattamento che Commissione Ue, la stessa Corte di giustizia dell’Unione, il Consiglio di Stato, il Presidente della Repubblica, l’AGCM, la stampa nazionale ha ad essi riservato in disprezzo dei valori costituzionali di tutela dell’impresa e del lavoro che, mai come in questo caso, sono stati dimenticati o calpestati da chi quei valori avrebbe dovuto difendere.
- 1 V. De Michele, Lo strano caso delle concessioni balneari e la giurisprudenza creativa del Consiglio di Stato sulla primazia del diritto Ue, 15.9.2022, su europeanrights.eu; La sentenza AGCM della Corte Ue sulla compatibilità con il diritto dell’Unione delle norme interne sulle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, 2.5.2023, su europeanrights.eu; La questione delle concessioni balneari dopo le sentenze del TAR Lecce e della Corte di cassazione a sezioni Unite, 1.12.2023, sempre su europeanrights.eu; Alle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali non si applicano la Bolkestein e il diritto primario Ue sulla libertà di concorrenza e di stabilimento, su www.newsbalneari.com, marzo 2024; L’ordinanza cautelare del 15.3.2024 del TAR Bologna riconosce come ammissibile la durata indeterminata delle concessioni demaniali marittime, su www.newsbalneari.com, marzo 2024; Le responsabilità governative sulla pessima gestione legislativa e giurisprudenziale della durata delle concessioni demaniali marittime, sempre su www.newsbalneari.com, marzo 2024; La durata indeterminata delle concessioni balneari: il casus belli del Comune di Jesolo e il revirement del Consiglio di Stato, ibidem, aprile 2024; La posizione consolidata del Consiglio di Stato sulle concessioni demaniali marittime iniziate prima del 29.12.2009, che sono fuori dalla direttiva Bolkestein, ibidem, aprile 2024; La competenza esclusiva del giudice ordinario sulla legittima occupazione del demanio marittimo dei concessionari, ibidem, maggio 2024.
- 2 Al punto della sentenza SIIB la Corte di giustizia ha precisato che l’art.1 del decreto del Presidente della Giunta regionale della Toscana del 24 settembre 2013, n. 52/R, ha modificato il decreto del Presidente della Giunta regionale della Toscana n. 18/R del 2001, aggiungendo, in quest’ultimo, l’articolo 44 bis, che recita: «Sono classificate di facile rimozione e sgombero le costruzioni e le strutture utilizzate ai fini dell’esercizio di attività turisticoricreative, realizzate sia sopra che sotto il suolo in aree demaniali marittime oggetto di concessione che (…) possono essere completamente rimosse utilizzando le normali modalità offerte dalla tecnica, con conseguente restituzione in pristino dei luoghi nello stato originario, in non più di novanta giorni».