Balneari, l’Italia risponde alla Ue: “Collaborazione per riordino settore”

Il Governo italiano ha risposto a Bruxelles in risposta alle osservazioni formulate dalla Commissione europea con il parere motivato. Nel documento, composto da 17 pagine e accompagnato da una tabella sulla situazione delle singole regioni, l’Italia conferma la piena disponibilità delle competenti autorità nazionali a continuare il dialogo e la collaborazione con la Commissione europea.

La richiesta principale dell’Italia è di ottenere più tempo per definire i criteri che porteranno a stabilire cosa si intende per ‘scarsità di risorsa’, in particolare in relazione alla costa disponibile. Tale principio è fondamentale per l’attuazione delle gare per le concessioni, seguendo la direttiva Bolkenstein. La risposta sottolinea che, considerato il quadro giurisprudenziale incerto e frammentato, è essenziale completare l’attività istruttoria sulla scarsità della risorsa prima di procedere con il riordino del settore.

L’Italia propone di continuare, in collaborazione con la Commissione europea e gli enti territoriali, l’attività di definizione dei criteri tecnici per determinare la scarsità della risorsa naturale. Solo sulla base degli esiti di questa ricognizione, in accordo con la Commissione e gli enti territoriali, sarà possibile riordinare organicamente e strutturalmente il settore.

La risposta indica anche i tempi per gli ulteriori approfondimenti: quattro mesi dalla data di invio della risposta per concludere un primo confronto con la Conferenza unificata riguardo alla determinazione dei criteri e ai relativi indirizzi di riordino del settore. Successivamente, si propone di sottoporre alla Commissione europea i risultati dell’attività istruttoria e consultiva, per poi procedere all’adozione dei provvedimenti normativi di riordino del settore.

Si specifica che il lavoro di mappatura delle coste avviato dal Tavolo tecnico deve ancora essere completato, e l’indicazione del 33% di coste occupate da concessioni è considerata preliminare e non conclusiva dell’istruttoria sulla scarsità della risorsa.

Ue in pressing sui balneari, Roma chiede tempo

Attesa e collaborazione sono le due parole d’ordine per risolvere uno dei dossier più delicati sull’asse Roma-Bruxelles.

Ma al termine ultimo per dare una risposta segnato in rosso sull’agenda della Commissione europea, il 17 gennaio, l’Italia risponde chiedendo tempo.

L’ultimatum sulla direttiva Bolkestein, che una volta scaduto vedrà i tecnici Ue puntare la loro lente sulla strategia italiana per le concessioni balneari, vede Palazzo Chigi in una strenua difesa del lavoro del proprio tavolo tecnico e, consequenzialmente, una richiesta di più tempo per completare il lavoro.

In sostanza, a quanto si apprende, questa richiesta è prevista nella lettera, che è in via di definizione e sarà inviata a ore dal governo alla Commissione Ue, in risposta al parere motivato con cui a novembre Bruxelles ha sancito un passo avanti nella procedura di infrazione verso l’Italia per il mancato adeguamento alla direttiva Bolkestein.

Nell’esecutivo da settimane si confrontano due visioni sul dossier. Per ora prevale quella di chi, come il vicepremier leghista Matteo Salvini, contesta l’applicazione della Bolkestein al settore.

La volontà di Palazzo Berlaymont, stando a quanto trapela alla vigilia, è di continuare un dialogo costruttivo con le autorità italiane. Nell’auspicio di trovare una via che metta fine all’annosa disputa e porti l’Italia ad adeguarsi alle norme baluardo della libera concorrenza nel mercato unico. Un esito contro il quale i balneari continuano a opporre resistenza chiedendo al governo, nel corso di un presidio fuori da Palazzo Chigi, di “rispettare le promesse elettorali” senza cedere alle pressioni Ue.

Inviata a Roma il 16 novembre scorso dopo lunghi mesi d’attesa, la missiva di richiamo Ue ripercorreva il tira e molla giuridico con l’Italia, inclusa l’apertura della procedura di infrazione nel dicembre del 2020. E contestava i risultati del tavolo tecnico istituito dal governo per la mappatura delle spiagge. Per l’Ue il calcolo della quota del 33% riferito alle spiagge occupate da concessioni demaniali – un dato che non rileverebbe scarsità della risorsa naturale escludendo l’applicazione della direttiva – non è corretto perché “non riflette una valutazione qualitativa delle aree e “non tiene conto delle situazioni specifiche a livello regionale e comunale”.

La mappatura del governo vuole invece dimostrare come la risorsa demaniale non in concessione non sia scarsa e quindi non vada applicata la direttiva. Da qui la necessità di più tempo per portare a termine la seconda fase del lavoro del tavolo, per definire i criteri in base ai quali stabilire se c’è o meno scarsità del bene demaniale. E sulla base delle risposte offerte, Bruxelles potrà decidere se deferire l’Italia alla Corte di giustizia Ue. Ansa