Padovano, Sib: “Governo deve intervenire subito per riforma demanio”

Nelle ultime settimane ci sono giunte richieste di chiarimento sulla scadenza delle concessioni vigenti. È opportuno pertanto ricordare che l’articolo 3 comma 1 della legge 5 agosto 2022 numero 118, la cosiddetta legge Draghi sulla concorrenza ,aveva fissato la scadenza al 31 dicembre del 2023 con possibilità di rinvio al 31 dicembre del 2024 nel caso in cui i Comuni non fossero stati in grado di effettuare le gare entro il 2023. La scadenza del 2024 è stata differita di un anno dall’articolo 10 quater comma 3 della legge 26 febbraio 2023 numero 14 ovvero il Milleproroghe”. A spiegarlo è il presidente della Sib Confcommercio Abruzzo Riccardo Padovano che sottolinea come all’articolo 1 comma 8 della nuova legge è espressamente “fatto divieto agli enti concedenti di procedere all’emanazione dei bandi di assegnazione delle concessioni” fino all’adozione dei decreti attuativi della legge Draghi, non ancora emanati.

L’occasione anche per sottolineare che la sentenza del Consiglio di Stato con cui si era decisa la scadenza al 31 dicembre 2023 al momento non è definitiva in quanto impugnata davanti alla corte di Cassazione a sezioni unite con l’udienza di discussione fissata al 24 ottobre 2023. Spetta dunque a governo e parlamento “chiarire, spiega Padovano, questa intrigata vicenda su cui è intervenuta la corte di giustizia dell’unione europea che è l’unico organo dell’unione che ha la funzione di effettuare l’interpretazione autentica del diritto europeo. Nella sentenza dello scorso 20 aprile sulla richiesta del Tar (Tribunale amministrativo regionale) di Lecce la corte di giustizia ha chiarito che presupposto per l’applicazione della direttiva Bolkestein è la verifica della scarsità o meno della risorsa demanio”. Per l’associazione che rappresenta è dunque “opportuno che sia abrogata la cd legge Draghi in materia in quanto superata dalla sentenza della corte di giustizia. In proposito e da ultimo si segnala che il Tar di Lecce lo scorso 13 luglio ha fissato per il prossimo 27 settembre l’udienza per discutere e decidere la controversia per la quale ha effettuato la richiesta di chiarimenti alla corte di giustizia”.

“Non bisogna fare allarmismo, aggiunge, siamo fiduciosi dopo le parole del Governo Meloni che ha detto di voler mettere mano a questa vertenza e siamo convinti che l’esecutivo mantenga le promesse impegnandosi ad una vera riforma del demanio marittimo, dando certezze a quegli operatori che nel corso degli anni hanno sostenuto sforzo e fatto investimenti non solo economici ma anche morali. Cose che non si comprano al mercato. Sono state costituite nel tempo imprese balneari che hanno fornito per anni dei servizi alla collettività dando linfa vitale al movimento turistico”.


“Quando parliamo di riforma intendiamo una riforma in toto e che riguardi tutti. Parliamo di una riforma con grande senso di responsabilità perché teniamo conto che anche una rivisitazione ai canoni debba essere anch’essa messa a regime. A tal proposito – continua il presidente regionale Sib-Confcommercio – ribadisco ancora una volta come fatto in passato che la riscossione dei canoni demaniali non deve andare allo Stato centrale ma redistribuita ai comuni e agli enti locali perché solo così potremo dare attuazione ad una riforma vera con le spiagge italiane che potrebbero essere così davvero valorizzate”.

“Inoltre, prosegue Padovano, nella riforma del demanio, e in tal senso ho avuto già confronti e colliqui con gli assessori Campitelli e D’Amario, abbiamo come obiettivo quello di una per così dire classificazione e certificazione degli stabilimenti balneari con delle stelle così come accade per gli alberghi e le strutture ricettive in modo da poter permettere al cliente di scegliere uno stabilimento balneare che potrebbe avere determinati servizi. Da subito occorre però attuare e mettere in pratica questa benedetta riforma e ridare la spinta alle imprese balneari per tornare ad investire”.

Scadenza concessioni, Sadegholvaad: “Silenzio assordante dal Governo”

“Mancano 118 giorni alla fine dell’anno. Il 31 dicembre 2023 scadono i titoli delle concessioni balneari italiane, così come sentenziato dal Consiglio di Stato a novembre 2021 respingendo la proroga governativa all’anno 2033 perché ritenuta in contrasto con la direttiva europea Bolkestein che proibisce i rinnovi automatici sulle concessioni pubbliche. Ma, nonostante manchino poco meno di 4 mesi, dal Governo italiano, chiamato a fare chiarezza e soprattutto atti formali in ordine ai modi e ai tempi dell’applicazione esecutiva della normativa comunitaria, c’è un assordante silenzio.

A fine luglio si è data pubblicità all’avvio della procedura della mappatura delle spiagge; ora si legge che il tavolo tecnico tornerà a riunirsi l’8 settembre, cioè quando mancheranno 114 giorni appena alla dead line disposta fissata dalla Giustizia. Quindi?

Non vorrei che a Roma prendesse piede questo ragionamento: zitti e muti e che pensino a sbrogliare la matassa i Comuni, lasciando a loro l’onere della gestione di una partita amministrativa epocale. Sarebbe un errore gravissimo con altrettanto gravissime conseeguenze, non per un Esecutivo, una coalizione di governo, una categoria economica, ma per il futuro stesso del turismo italiano e non solo. Quel turismo che oggi vale quasi il 13 per cento del PIL nazionale e che se finalmente considerato e trattato da industria potrebbe incrementare ancora di più questa percentuale, con benefici effetti su benessere, occupazione e le esangui casse dello Stato.

Su questa partita, a 118 giorni dal termini indicati dalla sentenza del Consiglio di Stato, quali sono gli orientamenti e le conseguenti indicazioni operative agli Enti locali da parte del Governo Meloni? Il nodo è evidente:: da una parte c’è una legge italiana (il cosiddetto Milleproroghe) che richiede di protocollare la nuova scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2024; dall’altra c’è la responsabilità civile e penale dei funzionari comunali di applicare una norma in contrasto con la giurisprudenza amministrativa (la citata sentenza del Consiglio di Stato) e con il diritto europeo (la Bolkestein). Pensiamo forse di mandare al macello, e dunque far pagare per le colpe altrui, le centinaia, probabilmente migliaia, di funzionari comunali responsabili in materia?

Se lo stato di salute di un Paese si misura anche dal livello di collaborazione e di cooperazione tra livelli istituziuonali differenti, oggi diciamo che il paziente non sta benissimo, tutt’altro.

I Comuni, in questo silenzio che dice più di qualsiasi parola, stanno legittimamente attrezzandosi per non incorrere nelle infrazioni per chi viole leggi e sentenze ma il risultato finale di questo ‘fai da te’ moltiplicato per mille, sarà con ogni probabilità un patchwork incomprensibile, un’arlecchianata tra spiagge confinanti e assegnate con i criteri più differenti e contradditori, per cui la vittima finale rischia di essere il cittadino, il turista, un settore economico trainante, frantumato in migliaia di pezzi l’uno diverso dall’altro.

Se a Roma sta bene tutto questo, ai sindaci dei Comuni interessati proprio no. E insieme ai sindaci, la cosa dovrebbe essere d’interesse anche per tutti i rappresentanti in Parlamento di questi territori, maggioranza o opposizione non fa alcuna differenza.

E intanto il countdown prosegue”.